Il mondo fantastico di Mario Laboccetta. Un artista déco da riscoprire
Quasi sconosciuto in Italia, il disegnatore napoletano trovò notorietà soprattutto in Francia dove illustrò riviste ed opere letterarie.
Negli anni ’20 e ’30 del Novecento Mario Laboccetta (Napoli, 1899 – Capri, 1988) occupò a Parigi una posizione di primo piano come illustratore di riviste (“Paris Plaisirs”, “La Donna” e “Seduction”) e di libri, all’interno del movimento Déco. Contribuì, così come Barbier, Brunelleschi, Dulac e Nielsen, ad arricchire coi suoi disegni le più prestigiose collezioni di volumi delle Editions d’Art H. Piazza, tra cui “Scénes de Courtisanes”, “Contes tunisiens” e opera letteraria “Contes d’Hoffmann” che, impreziosita da quarantuno fantastiche illustrazioni a colori di cui dieci a pagina intera, resta una delle sue produzioni migliori.
Il nome di Laboccetta figura anche sulle copertine di una corposa e qualificata produzione di opere famose quali “Les Fleurs du Mal” e “Les Paradis artificiels” di Baudelaire, “Contes fantastiques” di Hoffmann e di classici come “Candide” di Voltaire e “Contes” di Boccaccio delle Editions Nilsson: «Tutte superbe edizioni, […] tutto un mondo colorato di non minore fantasia di quello di Salvator Dalì», commenta Giuseppe Marotta, nella rivista “Il Dramma”, maggio 1964.
Nonostante la fama raggiunta in un contesto tanto competitivo e la dozzina di libri illustrati anche in Italia negli anni ’40, tra cui le “audaci e vibranti” tavole di “Saturnino Farandola”, di Mario Laboccetta non si fa menzione nemmeno nell’accurata “Storia dell’Illustrazione Italiana” di Paola Pallottino (Zanichelli, 1988).
Sta di fatto che l’opera di questo brillante autore – anche a causa delle contraddizioni che dominano il mondo dell’arte – è più nota in Francia e Inghilterra che in Italia.
Le illustrazioni inedite
Anche la sorte non fu particolarmente amica di Laboccetta. Sono ben tre le serie di illustrazioni mai pubblicate, sebbene tra le più artisticamente importanti realizzate nel corso della sua carriera.
La prima di queste occasioni mancate riguarda una decina di magnifiche gouaches, eseguite alla fine degli anni ’20. Esse rappresentano, secondo lo studioso Giuliano Ercoli, “non solo l’apice della produzione di Laboccetta, ma anche uno degli episodi più significativi nell’intero ambito della grafica Déco. […] la suggestione [di una di queste gouaches, ndr] resta incomparabile, e fa dimenticare al momento Brunelleschi e Barbier”. Queste tavole, gelosamente custodite dall’artista per decenni, sono finite sul mercato alla fine degli anni ’80 e solo nel 2007 sono state rese in parte di pubblico dominio.
Gli altri due casi riguardano le illustrazioni commissionate a Laboccetta da Mondadori per le favole di “Pinocchio” e “Alice nel paese delle meraviglie” realizzate sul finire degli anni ’40 e anch’esse mai pubblicate. Gli originali di queste tavole, poste in mostra alla Galleria Carosello di Milano nel 1950, ottennero entusiastici riconoscimenti dalla critica. Per di più queste opere, rimaste di proprietà della Mondadori, non sono state rintracciate né presso l’omonima Fondazione né altrove. Unico testimone rimane la prova di stampa di una tavola di “Alice” recuperata da chi scrive, per un colpo di fortuna, a Parigi.
Non particolarmente avversa, invece, la sorte toccata a Laboccetta nel campo della pittura cui l’artista si dedicò dal 1950, una volta cessato il lavoro di illustratore.
Notato da scrittori e poeti, Laboccetta raccolse a ogni mostra dei suoi dipinti notevoli consensi dalla critica per il suo magistrale mestiere e per la finezza delle sue descrizioni. I suoi quadri, secondo Alfredo Schettini, sono “[…] evocazione di sogni, immagini armoniose di una fantasia leggiadra, d’un grottesco per lo più gaio ed espressivo […] una sorta di surrealismo partenopeo […]”. Per “La Stampa” del 18 giugno 1963 nella pittura di Laboccetta si nota una curiosa miscela di modi e di motivi alla Savinio, De Chirico e Severini […] condita di scoppiettante allegria e di un gentilissimo spirito decorativo…”. Secondo Emilio Cottini “nelle composizioni rigorosamente condotte di Laboccetta si possono trovare agganci con illustratori di classe, come Vsevolode Nicouline o con Antonio Rubino […] si recupera una cultura pittorica della metafisica di Savinio […]”.
“I grandi capiranno…” scriveva il critico Leonardo Borgese riferendosi al talento di Laboccetta. Ma così non è stato, purtroppo.
Alla carriera di artista, e ancor meno alle sue finanze, non giovò lo stile di vita da uomo solitario, senza legami, lontano da critici e mercanti. A Parigi non si integrò mai. Le sole occasioni sociali di cui si ha notizia sono la partecipazione ai pranzi annuali offerti dall’editore di “Paris Plaisirs”. E forse non è un caso che il suo nome non figuri in alcuno degli Annuaires parigini che riportano gli indirizzi degli artisti.
Anche durante la permanenza a Capri il suo stile di vita non cambiò molto, preferendo l’artista strimpellare il mandolino in solitaria invece che condurre una vita di relazioni: lo scrittore Piero Girace arrivò persino a definirlo come “una specie di mandarino cinese, silenzioso e meditativo”, immagine che sembrerebbe incompatibile con quella di un artista che seppe esprimersi in modo ironico, spiritoso e talvolta grottesco.
La vita di Mario Laboccetta fu laboriosa ed attiva, malinconica ed entusiasmante al tempo stesso, un alternarsi di avventure colorate che avrebbero meritato una maggior fortuna.