Dal bersò al paesetto passando per l’orientale
I decori alla moda delle Porcellane Cozzi
di Adriana De Angelis
La lavorazione della porcellana, prodotta per la prima volta in Cina sotto la dinastia Tang tra il VII e il X secolo, si diffuse in Europa attraverso varie strade. Quella che la portò a Venezia sarebbe stata tra le migliori
L’“oro bianco” Già nel Milione Marco Polo scriveva dei pregiati manufatti realizzati con la porcellana, un composto che per secoli e in varie parti del nostro continente si cercò di emulare, in assenza della ricetta segreta nota solo agli orientali. In epoca medicea gli alchimisti fiorentini riuscirono a realizzare una porcellana tenera, piena di imperfezioni; veniva decorata a motivi bianchi e blu che ricordavano le coeve realizzazioni cinesi. Questo genere di composto andò gradatamente migliorando lungo tutto il 1600 in Italia, Francia e Inghilterra. Solo nel 1707, grazie all’intuizione dell’alchimista Johann Friedrich Böttger – che aggiunse del caolino alla formula già nota – si riuscì a realizzare presso le fabbriche di Meissen, in Sassonia, una porcellana dura della quale la manifattura stessa detenne per qualche tempo il monopolio. Una volta che il segreto, a seguito della defezione di vari lavoranti della fabbrica stessa, si conobbe in tutto il continente, si crearono presso diverse corti europee manifatture di porcellane prestigiose, vanto di ogni sovrano che riteneva massimo segno di distinzione, soprattutto economica, il possedere una fabbrica di tal genere. Anche lo Stato della Serenissima, uno dei centri economici maggiori di tutto il XVIII secolo, dal 1720 fino alla fine del secolo si distinse per le sue manifatture di porcellana dura, divenendo il terzo maggior polo di produzione insieme a Meissen e Vienna.
Dal 1720 al 1727 Venezia conosce fama grazie alle porcellane della manifattura del nobile Giovanni Vezzi, orefice e mercante che per le proprie realizzazioni si serve del caolino proveniente dalla Germania e dell’opera del tedesco Conrad Hunger, collaboratore di Böttger, alchimista che, dopo aver lavorato a Meissen e a Vienna, portò la sua professionalità nella Serenissima al servizio dell’azienda del Vezzi. Fallita per ragioni economiche questa valida esperienza, Venezia rimane per trent’anni senza alcuna produzione di porcellane, una realtà nella quale trova terreno fertile l’opera di Geminiano Francesco Antonio Cozzi, figura di imprenditore capace e volitiva.
Nato a Modena nel 1728, Geminiano Cozzi, la cui formazione è sconosciuta, si trasfersce a Venezia nel 1754, proprio tre anni prima che i coniugi sassoni Nathaniel Friedrich e Maria Dorothea Hewelcke, provenienti da Meissen, decidano di fondare in laguna l’omonima manifattura di porcellane. Inserendosi in un momento di crisi dell’azienda, il Cozzi, uomo colto e intraprendente, diviene socio dei coniugi tedeschi, ma nonostante i finanziamenti da lui procurati, nel 1763, l’azienda chiude. Mentre i Hewelcke ritornano in patria, Cozzi ne eredita l’attività, riattivandola in proprio. Impianta le fornaci in un edificio presso le fondamenta di Canal Regio verso S. Giobbe, ottenendo, il 21 agosto 1765, il consenso del Senato veneziano ai privilegi e ai sussidi richiesti per mandare avanti l’azienda, grazie al riconoscimento dell’impiego vantaggioso di terra non importata da mercati esteri, ma locale: il caolino reperito nel territorio di Tretto in provincia di Vicenza. Vero e proprio imprenditore pieno di iniziativa e idee, Geminiano Cozzi si impegna ad allargare e rendere nota ben oltre i confini veneziani la sua manifattura ricorrendo, con spirito oltremodo moderno, anche alla pubblicità a mezzo stampa. All’epoca, la sua manifattura, conosciuta ed apprezzata, dà lavoro a ben 83 maestri, specialisti in altrettanti rami dell’arte della porcellana e grande vanto dell’azienda. Purtroppo, sebbene appoggiato dal Senato veneziano con misure protezionistiche (esenzioni, sovvenzioni), e malgrado il suo forte spirito imprenditoriale capace di superare mille traversie, nel 1778, Cozzi, per far fronte alle difficoltà finanziarie, si vede costretto a chiudere la ditta aperta a suo nome e a crearne una nuova nella quale gli si affiancano il fratello Vincenzo e Bonaventura Marinoni, già finanziatore privato della ditta precedente. Nel 1784, dopo diverse vicende e controversie, anche la società Cozzi-Marinoni viene sciolta passando, con obbligazioni varie, in proprietà dei soli fratelli Cozzi; nel 1791, infine, viene trasferita nelle mani del solo Vincenzo. Le ultime notizie certe sulla manifattura Cozzi risalgono al 1799; le vicende storiche culminate col crollo della Serenissima e le mutate condizioni di vita a ciò collegate, ne segnano purtroppo il declino. Geminiano morirà nel 1798 in precarie condizioni economiche; Vincenzo si spegnerà, invece, nel 1804. Non è chiaro se la vedova di Geminiano, Antonia Caterina Sauli, abbia continuato l’attività del marito fino al 1812, anno della sua morte. Una cosa è certa: trasferirà a Doccia i segreti di fabbricazione elaborati dal marito.
Un design all’ultima moda
Numerose sono le testimonianze dei manufatti realizzati nella prestigiosa fabbrica, che oggi vanno ad arricchire musei e raccolte private. Nel 1783, lo stesso Cozzi, al culmine della sua attività, redisse un nutrito catalogo che offre la misura del prodigioso sviluppo raggiunto dalla sua impresa. La vasta produzione comprendeva: vasellame da tavola, servizi da caffè, da tè, da cioccolata, corredi di spezieria, vasi portafiori e oggetti vari d’arredamento, pomi da bastone, statuette e gruppetti plastici. Per comprendere il perché di tanta varietà tipologica è importante sottolineare che mentre nella prima parte del XVIII secolo (ai tempi dell’imprenditore Giovanni Vezzi) gli oggetti in porcellana venivano pensati e creati unicamente a beneficio e gusto di nobili e patrizi, nella seconda metà del secolo, si cominciarono a creare tipologie ad uso della vasta clientela affacciatasi all’acquisto di complementi d’arredo e di servizio in questo materiale pregiato. Favoriti anche dalla forte intraprendenza commerciale di Geminiano Cozzi, le sempre più numerose “botteghe da caffè”, gli innumerevoli conventi, la media borghesia non meno delle alte cariche della magistratura e delle amministrazioni pubbliche della Serenissima, divennero nuovi committenti. Nella fabbrica Cozzi l’attività era frenetica, tanto che il suo proprietario decise di affiancare alla produzione in porcellana “ad uso orientale”, anche quella in maiolica, tipologia di materiale in cui all’epoca si distingueva, nella sua fabbrica a Nove, Pasquale Antonibon – storico antagonista del Cozzi – che per volere del Senato veneziano ne avrebbe dovuto avere l’esclusiva. l manufatti della ditta Cozzi, perfettamente in linea con le nuove tendenze della cultura e del gusto dell’epoca, si rifanno stilisticamente alle coeve produzioni francesi, inglesi e olandesi, anche se non mancano creazioni originali d’ispirazione propria. Il vivace e vario repertorio iconografico che guarda a Meissen e a Sèvres, pur meno raffinato nell’esecuzione di quello straniero, gode di una originalità “made in Italy” che piace e convince. I temi decorativi, che vanno dai naturalistici ai geometrici, dai floreali europei agli esotici orientali, dagli araldici ai paesaggistici, si spingono anche verso la rappresentazione di cronaca locale e di vita reale, vissuta all’epoca tra città e campagna.
L’ancora rossa
Mentre quasi mai si trovano marchi nella produzione plastica Cozzi (gruppi di figure a tutto tondo o singoli personaggi), nei servizi in pasta dura dedicati all’arredo della tavola è visibile il marchio sulla base: un’ancora dipinta per lo più in rosso, di rado in azzurro e, nei pezzi di particolare pregio, in oro.
La mostra a Venezia
Geminiano Cozzi e le sue porcellane è il titolo della retrospettiva – la prima in assoluto dedicata alla manifattura Cozzi – curata da Marcella Ansaldi e Alberto Craievich presso il Museo del Settecento veneziano, un luogo che più di ogni altro, per peculiarità e storia, si presta a celebrare uno degli aspetti maggiormente affascinanti dell’arte del XVIII secolo. Nel corso del Settecento la Serenissima fu l’unico Stato dove sorsero ben quattro manifatture di porcellane, e tutte per iniziativa privata. Oltre alla manifattura creata da Geminiano Cozzi, operarono sul territorio quella del patrizio Giovanni Vezzi, avviata nel 1720, quella di Nathaniel Friederich Hewelcke, mercante sassone emigrato nel 1757 da Meissen a causa della chiusura della fabbrica durante la Guerra dei Sette Anni, e l’opificio di Giovanni Battista Antonibon, che nel 1762 avviò a Nove la produzione della porcellana, trent’anni dopo aver ottenuto dal consiglio dei “Savi della Mercanzia” della Serenissima il privilegio di produrre maiolica di qualità. Fino al 12 luglio, nel pòrtego al primo piano di Ca’ Rezzonico, saranno visibili oltre 600 pezzi tra stoviglierie e figure plastiche, provenienti da musei italiani ed esteri ma anche da collezioni private, oggetti, questi ultimi, di difficile accesso al pubblico e agli stessi studiosi, circostanza che non ha giovato alla fortuna di Geminiano Cozzi, la cui figura di imprenditore è messa a fuoco efficacemente in questa mostra che evidenzia le peculiarità di una produzione finalmente riconosciuta all’interno del panorama europeo per bellezza e pregio. Il corposo catalogo edito da Antiga Edizioni, che si giova di un comitato scientifico internazionale e della collaborazione dei maggiori esperti in materia, illustra in modo esaustivo le opere esposte ed offre un nuovo approfondimento sul personaggio che diede vita alla sorprendente manifattura veneta.
Geminiano Cozzi e le sue porcellane
Ca’ Rezzonico, Museo del Settecento Veneziano Dorsoduro 3136, Venezia
Fino al 12 luglio 2016
Orario: tutti i giorni 10-18; chiuso il martedì
Articolo pubblicato su La Gazzetta dell’Antiquariato n. 245 – Giugno 2016