L’ORO BIANCO PIEMONTESE. Porcellane sabaude tra il 1737 e il 1825
Rossetti, Vische, Vinovo
All’inizio del XVIII secolo, sull’onda della Porzellankrankeheit – una vera e propria corsa all’oro bianco, che vide i regnanti di tutta Europa impegnati sia nella collezione di porcellane orientali, sia nella ricerca dei segreti della preziosa produzione, anche a colpi di spionaggio industriale – i Savoia cercarono di favorire e sostenere l’industria manifatturiera, sul modello delle Manufactures Privilégées Royales francesi, fondando diverse imprese, come quelle seriche per le quali il Piemonte si era già distinto, dalla stamperia reale alla regia arazzeria.
Nel 1710, grazie all’impegno profuso in ricerche alchemiche che garantirono la formula della porcellana a pasta dura, Augusto il Forte di Sassonia (1670-1733) riusciva a fondare a Meissen la prima manifattura europea di porcellana di tipo cinese, mentre a partire dal 1693 in Francia, grazie all’interessamento di Filippo I d’Orléans, fratello di Luigi XIV, nel castello di Saint Cloud si produceva porcellana a pasta tenera ad opera di Pierre Chicaneau.
Anche il governo sabaudo si impegnò quindi in produzioni di alto livello, in grado di soddisfare una clientela esigente, sia locale che straniera, scelta particolarmente ambiziosa per un regno piccolo come quello sardo, sia per il costo delle maestranze esperte (per lo più straniere) sia per quello delle materie prime.
La produzione Rossetti
Nel 1725, Giorgio e Giovanni Battista Rossetti ricevettero dal Re Vittorio Amedeo II i privilegi per avviare una fabbrica di maiolica, la cui produzione fu inizialmente concentrata sulla moda del “decoro merletto” in monocromia di cobalto. Nel 1727, Giorgio Giacinto si recò a Lodi, dove la sua opera come ceramista è documentata fra il 1729 e il 1736, lasciando la manifattura a Giovanni Battista. Nel 1728 il Conte Giacinto Roero di Guarene acquistò la manifattura e nel 1729 si accinse all’edificazione di una nuova fabbrica in Vigna Cumiana, “oltre il Borgo Po, tendente alla Vigna di S.M. La Regina”.
Gli inizi della produzione torinese coincisero con la fondazione dell’importante manifattura toscana di Carlo Ginori a Doccia. Entrambe le fabbriche presentano infatti una storia e caratteristiche simili: iniziano la produzione con la maiolica e nei primi anni si distinguono per una produzione in blu cobalto; devono la loro fondazione a nobili illuminati e subiscono un forte influsso dalla manifattura viennese di Claudio Innocenzo Du Paquier, come dimostra la difficoltà di distinguere la loro porcellana da quella austriaca, in particolare per il ricorrere dei motivi decorativi.
La prima fase della produzione Rossetti è caratterizzata dal gusto “alla China” condizionato sicuramente dall’influsso delle collezioni di porcellana della famiglia Roero di Guarene, in cui figurano anche oggi esemplari di porcellane cinesi “Blanc de Chine”. La manifattura rivestì inoltre un ruolo importante nella diffusione in Piemonte del nuovo gusto alla francese, introducendo le nuove tematiche alla Bérein, tipiche della maiolica di Nevers, Rouen, e Moustiers e adottate anche dalla manifattura di Saint Cloud.
Sulla base di dati d’archivio di recente studio, è attestata nel 1742 la presenza di artisti viennesi nella fabbrica torinese, grazie all’intervento del Conte Francesco Gerolamo Malabaila di Canale, ambasciatore del Re a Vienna; a questi arcanisti si deve la produzione di oggetti più raffinati, con decorazioni in oro, rosso, ma anche con il più prezioso porpora, ricorrenti in questa fase, come anche i motivi paesaggistici utilizzati già da Hausmaler della manifattura di Du Paquier. Tra varie difficoltà, l’esperienza dei fratelli Rossetti si concluse intorno al 1748, anche se rimasero comunque detentori di una privativa che per altri dieci anni avrebbe impedito ad altri di produrre porcellana a Torino; tra le cause del fallimento dell’esperienza dei Rossetti, il costo delle argille primarie pure, all’epoca scarsamente reperibili in Piemonte.
La fabbrica di Vische
La tradizione della porcellana in Piemonte non finisce con la Rossetti. Nel gennaio 1765 nacque la fabbrica di Vische, grazie all’intervento del Conte Ludovico Birago di Vische, figlio di Enrico Lorenzo Birago, Conte di Vische e Marchese di Candia, dal quale ereditò (oltre l’ingente patrimonio) numerosi oggetti di porcellana e maiolica, tra cui un grande servizio detto “d’Olanda” (nell’inventario risulta composto da più di 100 pezzi) e la passione per il prezioso materiale.
All’atto d’istituzione della società si deve l’informazione che al Birago è da attribuire l’invenzione della “vernice della porcellana”, come dimostrano le cautele con cui vi si trovano specificate le modalità di conservazione della formula (in una cassetta sigillata e apribile solo con due chiavi). Come marchio venne scelto, in omaggio al Conte, un trifoglio turchese e d’oro, emblema della famiglia Birago, e una W, iniziale del nome medievale del luogo di produzione. La fabbrica ricevette l’autorizzazione da Carlo Emanuele III di Savoia il 2 agosto 1765, con una privativa che sanciva per vent’anni la produzione e vendita esclusiva all’interno del regno sardo, l’esenzione da dazi per l’importazione di materiali dall’estero e il diritto di fregiarsi delle armi regie da apporre all’ingresso della fabbrica e dei magazzini. Al dicembre del 1766 si data la prima di due lettere di Pierre-Joseph Macquer (Parigi, 1718 –1784, capo dei chimici a Sévres dal 1757, con la quale egli certifica, su richiesta del Birago, la buona qualità della ceramiche di Vische, come richiesto dalla patente concessa dal Re. Ma nonostante la qualità e le ottime commesse, il 9 agosto 1768 la fabbrica fu costretta a sospendere l’attività per mancanza di denaro.
Nell’inventario compilato alla morte del Conte si trova la descrizione dei locali pertinenti alla fabbrica di porcellane. Dall’atto di costituzione della società sono noti i nomi di un pittore (l’Antoniani, di cui è nota una zuccheriera, firmata e decorata con scene portuali in color porpora en camaieu, tono su tono), due modellatori (il Cattabini e Giovanni Battista Cassardi, assunto come pittore e poi divenuto modellatore, ai quali in seguito si aggiunse Pietro Gallazzi, originario di Faenza), due tornitori, e l’indicazione della presenza di dodici lavoranti.
Il lavoro effettuato da numerosi studiosi sulle carte dell’archivio della famiglia Birago ha consentito di individuare un certo numero di porcellane presenti nelle collezioni torinesi, prima attribuite erroneamente alla manifattura di Vinovo. Tra questi esemplari ci sono: un’elegante sorbettiera a forma di foglia di vite, ispirata al modello di un prototipo cinese adottato a Meissen e replicato da numerose manifatture europee (Capodimonte, Doccia, Nymphenburg, e Rubati di Milano), un piatto a forma di doppia foglia, facente parte della collezione del Museo Civico di Torino, anch’esso su modello di un originale di Meissen, entrato in produzione nel 1745 e ispirato a prototipi nipponici e la bellissima salsiera a forma di conchiglia, di sicura derivazione da opere di argenteria, come evidenzia il rincorrersi di sottili increspature della superficie che riportano ad alcuni prodotti di Thomas Germain o a disegni di Meissonier. A questi ultimi si ispirarono gli argentieri piemontesi Andrea Boucheron e Francesco Ladatte, che furono capaci di influenzare profondamente la produzione ceramica.
La fabbrica di Vinovo
La migrazione di alchimisti e artisti della ceramica stranieri (francesi e viennesi), che viaggiavano in Europa portando con sé i loro saperi, è all’origine della terza manifattura piemontese, forse la più nota, che deve la sua fondazione a Pierre Antoine Hannong: partito da Strasburgo per Parigi, egli approdò a Vinovo, dove ne abbiamo notizia per laprima volta nel settembre del 1776; a chiamarlo da così lontano fu Giovanni Vittorio Brodel al quale, reduce dal fallimento di Vische, spettavano ancora i privilegi per la produzione di porcellana nel regno sabaudo.
Il castello di Vinovo, proprietà regia dal 1732, ospitava all’epoca filande e varie attività manifatturiere per la produzione di seta, bottoni, lavorazione del ferro. Prima notizia della nuova destinazione della fabbrica si ha in una pianta del castello datata 28 dicembre 1775, la cessione con usufrutto ventennale è autorizzata dal Re Vittorio Amedeo III il 9 maggio 1776. Le regie patenti furono concesse il 12 ottobre successivo e comprendevano “la porcellana di ogni sorta dipinta e no, dorata e non dorata, unita o di rilievo, in scultura o a fiori”. Si stabilì inoltre che la marca da apporre ai manufatti in porcellana fosse una V con una croce di color turchino.
La produzione iniziò nella seconda metà del 1776, come attesta il primo pezzo datato, noto fino ad oggi: il vassoio conservato al British Museum, la cui forma è ispirata a un modello di Sévres, con decorazione a piccoli mazzi di fiori e bordo dorato, marcato con una V arcuata, sormontata da una croce.
Al periodo Hannong sono attribuibili alcune opere menzionate nell’inventario, come il Sant’Uberto , l’Immacolata o Allegoria Sabauda, l’Immacolata Concezione , Minerva , la Dubarry , i Puttini raffiguranti le arti, i ritratti dei Sovrani e dei Principi, derivati dai bassorilievi ordinati da Vittorio Amedeo III a Giovanni Battista Bernero per il castello di Moncalieri (1774-1776), i puttini muratori, le Scimmie (da modelli di Meissen); sempre a questo periodo è stata recentemente attribuita la Ninfa al bagno (ispirata a un dipinto di Boucher). I molteplici riferimenti e modelli da Meissen e da Vincennes Sévres, nonché da esemplari scultorei del Settecento piemontese sottolineano la varietà di forme e modelli, la ricettività e l’ampia cultura figurativa posseduta da Hannong e dai suoi collaboratori, cui si deve anche il frequente utilizzo di decorazioni in uso a Strasburgo e Meissen.
Al periodo successivo (Gioanetti-Lomello; Gioanetti rilevò la manifattura nel 1780) sono attribuibili la Visitazione , la Madonna Addolorata , la Madonna con Bambino (tutte ispirate a Bernero), le Teste romane derivazione dalla Real Fabbrica Ferdinandea. Nell’inventario della vendita del 1779 delle porcellane del magazzino di Torino e di quelle provenienti dal Castello di Vinovo sono menzionati gruppi pastorali ispirati a produzioni in argento di François Boucher, gruppi con raffigurazioni di virtù, stagioni, cani e cervi. La produzione di porcellana, già caratterizzata da un’ampia varietà di forme e decori, si arricchì ulteriormente nell’ultima fase di produzione con una maggior varietà di soggetti: cineserie, scene di genere, paesaggi in porpora con bordo in oro, ghirlande di fiori e nastri, rose, fiordalisi, uccelli con bordo in oro.
Dall’esame delle sigle e delle firme sulle opere che ci sono giunte, possiamo attestare l’attività di numerosi pittori. Dal 1776 è operante in fabbrica Carl Fürer, che si firma con monogramma CF in porpora; inoltre sono menzionati nei documenti anche Giuseppe Crosa e Francesco Bressano, che si firmano Crosa e Bress o Bress.n, e Carpano, cui spetta il maggior numero di esemplari firmati (Carpano, CAR, CA). Il pittore George Hornong o Hornung, già attivo a Sèvres, giunse probabilmente a Vinovo nel 1776 al seguito di Hannong. A Carlo Camillo Tamietti si deve, invece, la produzione scultorea di Vinovo, tra cui il capolavoro La visione di Sant’Uberto , del 1778. Del periodo Gioanetti sono noti i pittori locali Giorgio Balbo e Michele Carasso (che introdusse i nuovi decori neoclassici), nonché un Barberis (definito pittore di maiolica). Tra i tornitori sono noti Ignazio Icardi, Johann Jakob Habisreutinger (che giunse dalla Germania nel dicembre del 1777), Giuseppe Pollicardi, Giovanni Battista Rena e Michele Farinel. Per quanto riguarda i formatori, conosciamo Giovanni Mirbello, ed è noto dalla firma su numerosi esemplari un Martien. Alla morte di Gioanetti, il 30 novembre 1815 alla produzione di maiolica si sostituì la terraglia, mentre continuava quella di porcellana e statuine; due anni dopo tale data, Giovanni Lomello, già guarnitore e fedele collaboratore di Gioanetti, ne sposò la vedova e prese in mano la gestione della fabbrica rivolgendosi alla produzione di biscuit (di cui si conoscono numerosi esemplari databili tra 1816 e 1818, con marchio “V* L” a firma dello stesso Lomello, di Carlo Bosco e Chiarotto). Il vasellame subì uno scadimento qualitativo notevole e la produzione andò a ridursi repentinamente; non si ha notizia di opere datate dopo il 1818. I successivi tentativi di riattivare la manifattura non diedero esito positivo e pertanto la fabbrica di Vinovo chiuse definitivamente nel 1825.
FASCINO E SPLENDORE DELLA PORCELLANA DI TORINO. Rossetti, Vische, Vinovo 1737-1825
La mostra presso il Museo delle Arti Decorative Accorsi – Ometto è stata organizzata in collaborazione con Palazzo Madama; curata da Andreina d’Agliano e Cristina Maritano, consente di conoscere approfonditamente la produzione di porcellana settecentesca delle tre manifatture piemontesi.
L’attenzione è focalizzata su i nuovi apporti derivanti dello spoglio di documenti d’archivio e sulla revisione degli oggetti presenti in raccolte sia pubbliche che private, quindi si possono ammirare numerosi esemplari inediti o riattribuiti alla fabbrica di Vische dopo essere stati erroneamente ascritti alla produzione di Vinovo.
Il percorso espositivo, articolato in sette sezioni, evidenzia l’evoluzione delle forme e la varietà di decorazioni e consente di mettere a confronto gli esemplari piemontesi con i modelli originali francesi e viennesi. Dei 260 oggetti visibili, 90 esemplari provenienti dal Museo Civico di Arte Antica, sono produzioni della Real Fabbrica di Vinovo. Nella sezione dedicata alla committenza sabauda, compaiono due ritratti dei regnanti: Vittorio Amedeo III e Maria Antonietta di Borbone in biscuit.
In chiusura del percorso di visita si può partecipare alla festosa atmosfera del secolo godendo dell’esposizione scenografica di una tavola imbandita con vasellame della manifattura Vinovo.
Torino – Fino al 28 giugno 2015
Museo delle Arti Decorative Accorsi – Ometto
Orario: da martedì a venerdì 10-13 / 14-18;
sabato e domenica 10-13 / 14-19; lunedì chiuso
www.fondazioneaccorsi-ometto.it