Alberto Pasini. Affascinante interprete della stagione orientalista ottocentesca
L’opera di Alberto Pasini, nota al grande pubblico soprattutto per le affascinanti immagini orientaliste, appare ben rappresentata nelle aste internazionali degli ultimi 10 anni.
Nel 2008 l’artista è stato battuto da Christie’s due volte: la prima in luglio, a Londra, con l’olio “Il mercato di Costantinopoli”, presso le mura, che, stimato tra le 200.000 e le 300.000 sterline, ne ha realizzate 385.250; la seconda in ottobre, a New York, con un altro olio, “Mercato in Oriente”, che partito da una base di 500.000/700.000 dollari, ne ha realizzati ben 1.142,500, cifra che, ad oggi, sembra essere la più alta pagata per un suo dipinto. Nel 2011, presso Christie’s Londra, un altro olio, “La scorta del pasha”, stimato tra le 300.000 e le 500.000 sterline è stato venduto a 577.250.
Negli ultimi tempi, stranamente, le quotazioni dei dipinti di Pasini sembrano aver subito una flessione sia in Italia che all’estero.
Nel 2016, l’olio “L’Assedio”, presentato in asta il 19 aprile presso Pandolfini era stimato tra i 100.00 e i 150.000 euro mentre il 18 aprile 2018 “Marketplace on the Bosporus”, “Constantinople and the New Mosque beyond”, è stimato da Christie’s New York tra i 150.000 e i 250.000 dollari.
Il 2 novembre 2013 presso la Galleria Pananti Casa d’Aste di Firenze è stata aggiudicata una cartella di 16 litografie di Castelli di Parma e Piacenza che, partita da una base d’asta di 600/800 euro è stata venduta a 2000.
Alberto Pasini nacque, come Giuseppe Verdi, di cui fu amico, a Busseto, in provincia di Parma, il 3 settembre 1826, e mori il 15 dicembre 1899 a Cavoretto, presso Torino.
All’età di 17 anni si iscrisse all’Accademia di Belle Arti scegliendo, sulle prime, lo studio del paesaggio al quale preferì, in seguito, quello della litografia su suggerimento di uno dei suoi insegnanti, Paolo Toschi, una delle maggiori figure artistiche parmensi. Con questa tecnica, tra il 1850 e il 1851, eseguì una serie di trenta vedute di Castelli del Ducato di Parma e Piacenza.
“Alla fine del 1851, la situazione politica, la mancanza di prospettive di lavoro e, d’altro canto, la fiducia riposta in lui dal grande Paolo Toschi, lo decisero a lasciare Parma per Parigi. Qui la fortuna, ma anche le sue notevoli capacità grafiche ed espressive, gli fornirono l’opportunità di lavorare presso il maggior studio francese di litografia, quello di Charles ed Eugène Ciceri”, scrive Vittoria Botteri Cardoso nella corposa biografia da lei dedicata a Pasini nel 1991.
Pasini e i pittori francesi
La Parigi che accolse l’artista era una città in pieno fermento culturale ed artistico, preludio di una modernizzazione che avrebbe coinvolto la capitale francese in parecchi suoi aspetti, compreso quello urbanistico. Tra il 1852 e il 1870, infatti, sotto il Secondo Impero, per volere di Napoleone III, il Prefetto-urbanista Georges-Eugène Hausmann cambiò totalmente il volto della “Ville lumière” trasformando la città antica dalle stradine pittoresche in una metropoli moderna, fatta di grandi viali, i famosi grands boulevards, oggetto di rappresentazioni pittoriche en plein air di impressionisti del calibro di Caillebotte e Pissarro.
Ed è proprio con la pittura di paesaggio en plein air che Pasini – grazie ai Cicéri – entrò in diretto contatto scoprendo una delle maggiori tendenze artistiche del momento, preludio alla rivoluzione impressionista.
I Cicéri erano proprietari di una casa di campagna a Marlotte, presso Fontainbleau dove Pasini conobbe i paesaggisti dell’École de Barbizon con i quali si dedicò alla pittura a olio, approfondendo la resa dei diversi effetti della luce sulla natura.
Il frequentare quelli che erano, all’epoca, i pittori che avevano promosso il maggior rinnovamento della pittura francese e avevano mutato l’intero corso dell’arte europea portò Pasini a spingersi oltre la foresta di Fontainbleau, alla ricerca di luoghi remoti quali le coste della Bretagna e della Normandia, disseminate di scogliere e di quelle falesie naturali che incanteranno artisti come Boudain, Courbet, Monet e scrittori del calibro di Flaubert e Maupassant. Frutto di queste sue peregrinazioni solitarie sulle coste del Nord della Francia fu la litografia “La sera” che lo fece ammettere per la prima volta al Salon del 1853.
Pasini orientalista
Un anno dopo l’importante successo al Salon, Pasini lasciò lo studio dei Cicéri per aprirne uno con Théodore Chassériau che lo iniziò all’Orientalismo, altra corrente in voga in quegli anni di cui lui era un esponente.
Dopo il rifiuto di Chassériau, nel 1855, l’artista si trovò a sostituirlo in una missione diplomatica di diciotto mesi in Persia, Turchia, Arabia ed Egitto a seguito del ministro plenipotenziario Prosper Bourée, cosa che gli cambiò la vita facendogli trovare la sua definitiva ed ideale fonte di ispirazione artistica e rendendolo famoso. Durante quel viaggio, l’artista realizzò una sessantina di studi e molti disegni che furono la base delle opere che fecero la sua fortuna, prima in Francia e poi in Italia.
Quanto appreso a Fontainbleau fu trasfuso da Pasini nella rappresentazione realistica (inusuale in soggetti orientalistici, per l’epoca, ad eccezione di “Capi arabi raccontano una novella di Horace Vernet”, presentato al Salon del 1834) di edifici, passaggi, mercati, carovane, caravan serragli impreziositi da cieli azzurri dove cumuli di bianche nuvole rimandando a Constable e a Turner entusiasmarono il famoso mercante d’arte Alphonse Goupil.
Pasini ritornò varie volte in Oriente riportandone spunti e disegni utili per i suoi dipinti: nel 1859, visitò Egitto, Palestina, Persia, Libano e Grecia; nel 1867 rimase nove mesi a Costantinopoli; nel 1876, provò ancora a recarsi in Oriente, ma, a seguito di disordini, non andò oltre Salonicco. Nel 1879 e nel 1883, il suo amore per l’Oriente prese altre strade, focalizzandosi su città moresche quali Cordoba e Granada.
L’Oriente, inteso come realtà “altra” su cui favoleggiare, ha interessato l’Occidente sin dai tempi più antichi. Attraverso la “Via della seta” e la “Rotta delle Spezie”, sin dall’antica Roma, fu possibile scambiare cultura e merci fino alla lontana Cina dove, nel XIII secolo, giunse anche Marco Polo che ne raccontò ne “Il Milione”. Già allora, Oriente era sinonimo di Islam, di sensualità, di donne misteriose ed affascinanti, di uomini crudeli con scimitarre e grandi turbanti, stereotipi validi anche nei secoli successivi.
Nel XVIII secolo, dopo la pubblicazione delle “Mille e una notte” e le campagne napoleoniche in Egitto, si conobbe una forte influenza orientale nelle arti tanto che il “viaggio in Oriente” affiancò quello del Grand Tour e se questo, con la riscoperta dell’Antico, favorì la nascita del Neoclassicismo, il viaggio in terre lontane portò all’elaborazione del Romanticismo.
Mentre in Francia, Ingres, Delacroix, Géricault, Gerôme, Chassériau continuarono a raccontare il “favoloso Oriente” fino all’apertura, nel 1869, del canale di Suez che, facilitando i viaggi, rese la narrazione di quei luoghi più realistica, in Italia, a seguito dell’avventura africana del neonato Regno Italiano che incominciava proprio in quegli stessi anni, questo modo di rappresentare l’Oriente conobbe un forte impulso come nelle tele di Domenico Morelli che, dipingendo scene di odalische, affermava di voler “rappresentare figure e cose non viste, ma immaginate e vere ad un tempo”.
In questo panorama, Alberto Pasini si distinse per la sua personale rappresentazione, raffinata, equilibrata e pienamente rispettosa di quella realtà che lui, come pochi altri, aveva davvero conosciuto ed amato.
“PASINI E L’ORIENTE. Luci e colori di terre lontane”
Mostra alla Fondazione Magnani Rocca
Paesaggi sconfinati, odalische, rovine suggestive, il fascino e il mistero di terre lontane: questo, a partire dal XVIII secolo, divenne sinonimo di Turchia, Persia ed Egitto, luoghi che Alberto Pasini visitò nella seconda metà del XIX secolo. Ed è proprio a questi orizzonti immaginifici in cui lo spettatore può perdersi, che la Fondazione Magnani-Rocca dedica la sua mostra di primavera, curata da Paolo Serafini e Stefano Rolli, “PASINI E L’ORIENTE. Luci e colori di terre lontane”.
L’esposizione, ricca di oltre 100 opere fra dipinti e lavori grafici di appartenenza pubblica e privata, molti dei quali mai esposti in una mostra scientifica, raccontano usi, costumi, atmosfere di una cultura “altra”, un unicum che oggi, per l’importanza del tema, acquista un valore e un significato di grande attualità.
Divisa in tre parti, la mostra inizia con la narrazione del tentativo di dialogo tra l’Europa e il Medio Oriente portato avanti, durante il conflitto russo-turco, da una missione diplomatica francese incaricata di venire a patti con lo Shah di Persia per sottrarlo all’influenza russa. Per la prima volta, vengono presentati, tutti insieme, i disegni, le litografie e i dipinti realizzati da Pasini in occasione della missione divenuti modello di riferimento per tutta la pittura orientalista. Una seconda sezione è dedicata a Istanbul, luogo amato e a lungo raffigurato dall’artista, mentre l’ultima è riservata ai dipinti di atmosfera e di paesaggio.
In copertina: Alberto Pasini, “Davanti alla Moschea”, 1875-80, olio su tela. In mostra a “PASINI E L’ORIENTE. Luci e colori di terre lontane”
Informazioni
“PASINI E L’ORIENTE. Luci e colori di terre lontane”
Fondazione Magnani-Rocca
Mamiano di Traversetolo (Parma) – via Fondazione Magnani-Rocca 4
Fino al 1° luglio 2018
Orario: dal martedì al venerdì 10-18; sabato, domenica e festivi 10-19; chiuso lunedì;
aperto il 25 aprile, il 1° maggio e il 2 giugno
www.magnanirocca.it