Continente Nero. La raccolta di Bruno Albertino e Anna Alberghina
L’Arte africana tradizionale, con la sua concezione geometrica degli spazi e la sua espressività, porta a una sublimazione dei contenuti artistici partendo dai valori magico-religiosi che sono imprescindibili nella società africana
L’arte africana è l’insieme delle manifestazioni materiali ed immateriali che definiscono l’estetica africana, un modo di essere e vivere che si esprime nella scultura sacra e profana, negli ornamenti e nelle decorazioni corporee, un sistema dinamico di valori sociali, funzionali e rituali assolutamente unico che non prevede un reale confine tra arte e artigianato. Ad essa, dunque, non si possono applicare i canoni estetici e i criteri di valutazione formali dell’arte occidentale perché scaturisce da un puro istinto creativo il cui fine ultimo è rendere il mondo spirituale tangibile attraverso la traduzione visiva dei suoi misteri, per mezzo di simboli familiari agli appartenenti al clan. Si tratta quindi di un’arte funzionale a una società in cui religione, politica, educazione, lavoro, divertimento sono strettamente correlati tra loro e dove le arti plastiche, la musica, la tradizione orale, i rituali sono essenziali e ricoprono un ruolo fondamentale nella costituzione della comunità e nel mantenimento delle convenzioni comuni. La storia di questa espressione artistica, tramandata oralmente con notizie spesso incerte e frammentarie è, per questo motivo, avvolta nell’incertezza. In epoca recente, anche il modello “one tribe – one style” della critica tradizionale è stato fortemente messo in discussione in base a due considerazioni: le suddivisioni in tribù e i confini territoriali sono stati spesso esito di forzature politico-coloniali; gli scultori, i fabbri, i fonditori sono normalmente itineranti per cui anche gli stili misti sono molto diffusi.
L’arte africana in Europa
L’interesse per l’arte africana e il suo riconoscimento come forma d’arte da parte della cultura europea si sviluppò con l’arrivo in Europa delle prime navi dei grandi esploratori. I primi manufatti giunti al seguito di viaggiatori, principi, preti e mercanti affascinarono e incuriosirono molto le classi dominanti; la prima notizia certa al riguardo risale al 1470 e riferisce di una spada e alcune sculture lignee donate da un cavaliere portoghese a Carlo il Temerario.
Nel XVI e XVII secolo in Europa si diffuse la moda di acquistare manufatti curiosi ed esotici provenienti dall’Africa, considerati di particolare pregio per la lavorazione raffinata e la rarità dei materiali con cui erano realizzati. Spesso acquistati solo per suscitare curiosità e stupore, come arte esotica da esporre nelle Wunderkammer o negli studioli dei nobili d’Europa, essi finirono col costituire il primo nucleo di molte raccolte dei più importanti musei del vecchio continente. Ne è un esempio la saliera in avorio conservata ora al Museo Nazionale Preistorico Etnografico Luigi Pigorini di Roma: un oggetto proveniente dalla Sierra Leone eseguito da un artigiano Bulom tra il XV e il XVI secolo. In tale periodo, infatti, la richiesta del mercato europeo di manufatti d’uso comune come posate e soprammobili in materiali esotici alimentava, nell’Africa Nera, la produzione di oggetti su ordinazione.
Tra Ottocento e Novecento, l’epoca delle grandi esplorazioni e del colonialismo, l’Africa con la cosiddetta “arte primitiva” esercitò una forte influenza in occidente. Subirono il fascino dell’arte africana le avanguardie artistiche dei primi anni del XX secolo: gli scultori Costantin Brancusi e Alberto Giacometti, che trassero insostituibile ispirazione dalla straordinaria purezza delle forme e dalla sintesi plastica dell’arte africana, ma anche Paul Gauguin e Paul Cézanne e i pittori fauve come Maurice de Vlaminck e Andrè Derain, tra i primi estimatori di quest’arte.
Negli atelier di Parigi l’estetica dei popoli dell’Africa fu molto apprezzata, tra gli altri, da Amedeo Modigliani e dai cubisti Georges Braque, Juan Gris, Pablo Picasso. Quest’ultimo nel 1907 dipingeva le Demoiselles d’Avignon con primitive semplificazioni di forme, evidenti soprattutto nei tre volti che riprendono una maschera della cultura Pende.
La prorompente seduzione del primitivismo, definita “le tumulte noir” o “negerkunst”, influenzò inoltre Vassily Kandinsky, gli espressionisti tedeschi, il movimento Dada, Fernand Léger, Le Corbusier e, più tardi, Henry Moore, tutti affascinati da sculture le cui forme obbedivano a leggi ed equilibri estranei alle logiche delle Accademie occidentali.
Arte e magia
Nel continente africano produzioni plastiche e scultoree tradizionali rappresentano i veicoli attraverso i quali gli spiriti e le forze soprannaturali si rendono visibili nella realtà umana, trasfigurando la materia in idoli spesso inquietanti che sprigionano una forte vitalità e una dignità sacrale; si tratta dunque di una metamorfosi in cui i confini tra arte e magia risultano alquanto sfumati. Le attività corporative e le cerimonie, i riti religiosi, sempre intensamente coinvolgenti, sono l’elemento costitutivo di questa metamorfosi in cui maschere e statue hanno un ruolo essenziale.
Frutto e sintesi di innumerevoli culture, etnie e tradizioni religiose, l’arte africana tradizionale ha la sua principale caratteristica proprio nella simbiosi tra percezione universale e realizzazione particolare e solo grazie alle ricerche di collezionisti illuminati e di etnografi specializzati in storia dell’arte è stata pienamente riconosciuta l’interconnessione tra l’oggetto artistico e la sua funzione magico religiosa.
La statuaria
La forma d’arte figurativa più diffusa in Africa occidentale è la scultura lignea, risultato di una straordinaria abilità tecnica dell’autore, spesso il fabbro del villaggio, che elabora d’istinto ed è depositario di antichi saperi tramandati di padre in figlio. L’artista, a differenza di quanto avviene nel mondo occidentale, non firma mai l’opera, quindi solo lo stile particolare e la qualità eccezionale dei manufatti permettono di effettuare delle attribuzioni.
La difficoltà di identificazione di autori e stili è originata anche dalla necessità degli artisti di conformarsi a canoni estetici e culturali già definiti e consolidati che concorrono a conferire una riconoscibile unità trans-etnica alla statuaria africana.
Il soggetto più frequente è la figura umana (antenato o divinità tutelare), caratterizzata da frontalità, simbolismo e gerarchizzazione tra le diverse parti del corpo, ma comuni sono anche le raffigurazioni degli animali totemici.
Le maschere
Nelle maschere, l’oggetto d’arte africana più comune, le sembianze umane e animali sono combinate a creare rappresentazioni di carattere mistico, in quanto esse costituiscono il punto d’incontro tra il mondo reale e i sogni. La loro stilizzazione è funzionale a raffigurare solamente l’idea, lo spirito che per un istante si trasfigura in materia.
Presso molte tribù, chi indossa una maschera abbandona temporaneamente la propria identità assumendone un’altra: uno spirito o un antenato, ad esempio, oppure un animale con un particolare significato simbolico (il bufalo, ad esempio, rappresenta la forza, mentre l’antilope rappresenta il mondo dell’agricoltura).
Secondo il complesso di credenze africane il mondo rispecchia nella maschera gli albori della creazione , l’unità primordiale di tutte le creature, il mistero della vita, perciò essa è protagonista nei riti di passaggio, nelle iniziazioni, nei matrimoni, nelle cerimonie funebri, come nelle feste per il raccolto e in tutte le danze tradizionali. Alcune maschere sono riservate esclusivamente agli anziani, altre ai capi tribù, altre ancora, solo agli uomini. In genere, ad indossarle sono gli iniziati delle società segrete; ne esistono numerose, in alcune tribù una per ogni grado di conoscenza. Chi porta la maschera – spesso abbigliato con una veste di paglia o piume – è un tramite con lo spirito, è lo strumento che facilita la comunicazione tra il soprannaturale e l’uomo.
Anche gli stregoni utilizzano le maschere durante le loro cerimonie terapeutiche; domandano agli spiriti di intervenire per risolvere contrasti troppo complessi per le autorità temporali: colui che indossa la maschera è il tramite della volontà sovrannaturale e le sue decisioni sono accettate incondizionatamente da tutti.
Naturalismo ed astrattismo, patine di colori minerali e colori vegetali, volti umani talvolta abbinati a figure zoomorfe o zoomorfismo puro: la gamma di combinazioni delle maschere è infinita (per esempio, il popolo dei Dogon del Mali, presso il deserto del Sahara, utilizza nei balli e nei rituali più di 70 tipologie differenti di maschere). Gli stili spaziano dal classico all’astratto, dalle raffinate maschere ritratto delle popolazioni Baoulé e Dan della Costa d’Avorio alle maschere cubiste dei Songye, a quelle altrettanto straordinariamente astratte dei Tèké (entrambe della Repubblica Democratica del Congo).
La collezione di Bruno Albertino e Anna Alberghina
Il continente africano, considerato luogo selvaggio, ha affascinato esploratori e viaggiatori di tutti i tempi grazie alla forte passione che sa suscitare nelle persone animate da curiosità e interesse alla contaminazione tra differenti culture.
Proprio la condivisione della passione per questo continente ha portato Bruno Albertino ed Anna Alberghina, medici, viaggiatori e appassionati collezionisti, ad attraversare le polverose piste dell’Africa Occidentale sino al cuore verde della foresta equatoriale, in un viaggio che dura da trent’anni e trova sempre nuova linfa nell’amore per i luoghi, le culture, i riti e il profondo rispetto per le tradizioni delle genti che lo abitano.
La ricca e particolare collezione dei due estimatori, divenuti ormai veri e propri esperti, trova origine nel condiviso interesse per l’arte e l’antropologia che li accompagna sempre in nuovi viaggi alla ricerca di oggetti da acquisire e reportages da realizzare. Negli scatti fotografici di Anna traspaiono i grandi temi della cultura africana in un sottile equilibrio tra l’aspetto etnografico e quello estetico-formale. Da un lato le maschere, le statue, i feticci, gli arredi, gli specchi e gli amuleti, gli oggetti d’uso in metallo e in legno, tutti accomunati da eleganza espressiva ed estremo rigore formale, dall’altro le immagini delle tribù, delle cerimonie, dei rituali, delle acconciature, delle scarificazioni con il medesimo volere estetico e sacrale: due letture intrecciate e indipendenti che forniscono un quadro e una visione unitaria e accorata.
La raccolta si compone di circa 400 pezzi la cui datazione varia dalla fine dell’800 alla prima metà del ’900, ma è presente anche un nucleo molto più antico ascrivibile ad un periodo compreso tra il 500 a.C. e il 200 d.C., costituito dalle terrecotte della cultura di Nok, originaria della Nigeria sull’altipiano di Jos.
Circa l’80% dei pezzi proviene da privati, aste e gallerie italiane, francesi, belghe e statunitensi, il restante 20% dalla ricerca effettuata di persona durante i viaggi in Africa; un insieme che rende omaggio alla tradizione, cui si aggiunge un’attenzione all’espressione artistica dell’Africa contemporanea grazie all’interesse verso alcuni artisti, ad esempio il pittore e scultore tanzaniano George Lilanga.
Fondamentale e primaria per la formazione di questo nucleo di opere, composto esclusivamente da manufatti autentici, è l’attenzione dedicata da Alberto e Anna ad ogni opera prima dell’acquisto, sia dal punto di vista estetico e rituale sia per ciò che concerne il suo percorso: dalla realizzazione, al rinvenimento, ai passaggi di mano relativi alle precedenti proprietà.
Grazie alle ottime competenze acquisite negli anni essi sono in grado di valutare le opere da diversi punti di vista. Molto importante è, infatti, saper individuare le patine che attestano l’autenticità e l’effettivo utilizzo dell’oggetto nella sua funzione d’uso o rituale; seguono, il valore artistico e rituale, la bellezza e il gusto personale.
Per un livello di conoscenza sempre più approfondito, la coppia si confronta con galleristi e collezionisti d’Europa, America, Africa, e si avvale della preziosa collaborazione di esperti della materia, come Ezio Bassani, che vanta un’esperienza cinquantennale e ha curato numerose mostre. A chi volesse iniziare un percorso di conoscenza Bruno e Anna suggeriscono la visita delle raccolte museali del Musée Royal de l’Afrique centrale di Tervuren, del Pavillon des Sessions del Louvre, del Musée de l’Homme di Parigi, del Museo Nazionale Preistorico Etnografico “Luigi Pigorini” di Roma.
La collezione Albertino-Alberghina in mostra a Oderzo
“Africa. La Grande Madre”
L’Africa, grande madre dell’umanità, è al centro di una originale mostra ospitata a Palazzo Foscolo ad Oderzo (TV). Curata da Donatella Avanzo per Fondazione Oderzo Cultura, l’esposizione si prefigge il difficile compito di rendere fruibile e comprensibile al grande pubblico il potenziale archeologico, etnografico e artistico del continente africano e della sua eredità culturale.
Insieme ad alcuni calchi dei celebri graffiti preistorici della Valle del Bergiug nel Sahara libico, risalenti a circa 11000 anni fa (documentati dalla spedizione denominata “Fiumi di pietra” condotta dai celebri ricercatori Alfredo e Angelo Castiglioni insieme a Giancarlo Negro e Luigi Balbo) l’esposizione presenta numerose opere d’arte africana provenienti dalle tre importanti collezioni di Bruno Albertino e Anna Alberghina, di Ettore Brezzo, di Gianluigi Nicola.
Il progetto espositivo illustra i momenti salienti del processo evolutivo dell’arte tradizionale africana, con opere provenienti da differenti paesi dell’Africa Nera, reinterpretate in dialogo con le opere di alcuni artisti contemporanei, tra cui anche Ugo Nespolo, e le fotografie di Anna Alberghina e Carla Campanella.
Il filo conduttore individuato dalla curatrice, partendo dai calchi dei graffiti preistorici e dalle riproduzioni delle decorazioni pittoriche delle tombe dei faraoni, narra l’eccezionale ricchezza artistica del continente africano giungendo fino all’arte contemporanea ad essa ispirata.
Africa. La Grande Madre
Oderzo (Treviso) – Palazzo Foscolo, via Garibaldi 65
Fino al 28 maggio
Orario: venerdì 14-19; sabato e domenica 10-19
Altre mostre svolte
• Bruno Albertino e Anna Alberghina, Le figure di maternità nell’arte tribale africana, Libreria Diari di Viaggi, Torino, 2012.
• Bruno Albertino e Anna Alberghina, Essere ed apparire – volti e sculture dell’Africa tribale, Palazzo Bertalazone di San Fermo, Torino, 2012.
• Bruno Albertino e Anna Alberghina, Africa: alle origini della vita e dell’arte, Palazzo Lomellini, Carmagnola (To), 2013.
• Anna Alberghina, African beauties, Casa del Conte Verde di Rivoli, Torino, 2013
• Bruno Albertino e Anna Alberghina, Mostra fotografica e di arte africana Vanishing Africa, Torino, 2014
• Bruno Albertino e Anna Alberghina, African Style. Dall’arte africana tradizionale all’arte contemporanea, Palazzo Salmatoris, Cherasco (CN), 2015
• Donatella Avanzo (a cura di), Africa, dove vive lo spirito dell’arte. L’arte tradizionale africana incontra l’arte contemporanea, Casa del Conte Verde di Rivoli (TO), 2016.0
Mama Africa. La maternità nell’arte africana
La recente pubblicazione di Bruno Albertino e Anna Alberghina analizza i temi della maternità e della fertilità nell’arte scultorea africana.
I due autori esaminano le tipologie di questa iconografia, molto diffusa nelle scultura tradizionale, studiando esemplari realizzati in differenti materiali: legno, metallo, avorio, terracotta e pietra, originari di varie aree geografiche dell’Africa, con prevalente provenienza dalle aree occidentali e centro-equatoriali. Il progetto editoriale si concentra sulla descrizione delle loro caratteristiche estetico-formali con l’intento di favorire la comprensione di una cultura profondamente diversa dalla nostra e si prefigge di sondare le reciproche influenze tra l’arte africana e quella europea.
Le statuette Jonyeleni dei Bamana del Mali (quasi cubiste), quelle Dogon (molto stilizzate), quelle dei Baoulè, dei Dan e degli Attiè della Costa d’Avorio e della Liberia (estremamente analitiche), le maternità Kongo Yombe e le Kongo Vili (dalle caratteristiche molto naturalistiche), le sculture Lwalwa, le Yoruba della Nigeria al confine con il Benin (portatrici dei classici gemelli Ibeij) sono tutte espressione della sacralità dell’evento della nascita, spesso divinizzato come metafora della creazione.
Dall’analisi del tema iconografico scaturisce l’interesse all’identificazione del ruolo e alla descrizione delle condizioni della donna nella società tradizionale africana.
Molto interessante il capitolo relativo alla definizione dei criteri di autenticità di questo genere di oggetti, utile soprattutto a chi desideri avvicinarsi al collezionismo di arte tradizionale africana.
Altri libri e cataloghi editati
• Bruno Albertino, Anna Alberghina, Essere e apparire, Galleria Allegretti Contemporanea 2012.
• Bruno Albertino, Anna Alberghina, catalogo della mostra. Africa: alle origini della vita e dell’arte Palazzo Lomellini, Carmagnola 2013.
• Anna Alberghina, African beauties, Neos Edizioni 2013.
• Bruno Albertino, Anna Alberghina, Maschere d’Africa, Neos Edizioni 2014.
• Bruno Albertino, Anna Alberghina, catalogo della mostra African style, Cherasco, Edizioni Città di Cherasco 2015.
Le opere che corredano il servizio provengono dalla collezione Albertino-Alberghina, Torino.
www.africantribalart.it