Cuore umbro. Le soddisfazioni ceramiche di un collezionista di Foligno
Nazzareno Mela, in soli 6 anni, è riuscito a raccogliere circa 1600 ceramiche della sua regione. Un vero e proprio record che il collezionista spiega così: «Ho amato da sempre l’antiquariato e la ceramica ma gli impegni lavorativi limitavano il mio piacere di collezionare. Andato in quiescenza, però, mi sono ritrovato con più tempo libero. Dapprima, mi sono messo a cercare in internet i libri riguardanti una mia vecchia passione: raccogliere testi, anche antichi, sullo sport e il pugilato in particolare, una disciplina attinente al mio lavoro nell’ambito sportivo».
Girando e rigirando in rete, un giorno Nazzareno si imbatte in un manufatto ceramico delle sue parti: «Mi capitò di trovare in vendita, a un prezzo molto basso, un centrotavola di Gualdo Tadino, e così lo comprai. Poi, siccome il venditore mi disse di avere altri pezzi umbri, ne presi ancora cinque! In precedenza, mi era già capitato di comprare ceramiche o porcellane, ma solo come souvenir durante i miei viaggi all’estero».
La passione che riempie le giornate del collezionista ora ultrasessantenne, se da un lato può considerarsi una sorta di danno collaterale del “tempo liberato” (visto i soldi che ci spende), dall’altro, si conferma come fonte vitale di un interesse culturale da mantenere vivo attraverso lo studio: «Mi considero un appassionato che approfondisce la materia, per questo le mie ricerche si limitano alle manifatture locali operanti nella prima metà del XX secolo, un lasso di tempo che, esteticamente, incontra molto il mio gusto».
In realtà, anche se in prevalenza la raccolta è composta di manufatti creati nella sua regione, il collezionista si spinge talvolta oltre confine, seguendo passo passo il lavoro di ceramisti che operarono, sì, in Umbria, ma che lavorarono o spostarono le loro botteghe anche in altre zone d’Italia. È il caso del maestro Zulimo Aretini di cui Nazzareno possiede ad oggi ben 287 opere; un corpus ceramico che fa del proprietario un significativo punto di riferimento per lo studio iconografico dell’opera dell’artigiano discendente da un’antica famiglia di vasai. “Nato nel 1884 a Monte San Savino in provincia di Arezzo, nel 1926 fu chiamato a Perugia da Giovanni Buitoni e per lui costruì ex novo la fabbrica e la fornace nel perimetro della Società di cioccolato Perugina. Nell’area di Fontivegge esiste ancora il camino della fornace adiacente l’attuale Broletto”.
Il prezioso insieme non ha mancato di essere notato dagli “addetti ai lavori” in occasione di una mostra monografica: «Lo scorso maggio ho esposto una trentina di ceramiche di Zulimo Aretini a Foligno, nel quartiere di Belfiore, e con grande piacere ho scoperto in seguito che l’evento era stato recensito nel Bollettino del Museo Internazionale della Ceramica, di Faenza. In via generale, però, non amo dare in prestito i miei pezzi a fini espositivi. Qualche volta mi sono stati chiesti, ma ho sempre declinato l’invito. Preferisco tenere la raccolta in un luogo sicuro e lontano da occhi indiscreti».
Il corpus di opere dell’Aretini, create dal ceramista in diverse zone d’Italia, rappresenta un po’ l’eccezione alla regola regionale che Nazzareno si è imposta. E infatti il resto della collezione abbonda in pezzi di Perugia (circa 800 opere), Deruta, La Salamandra, C.I.M.A, Orvieto, Monteluce, Rometti, Pucci, Grazia, Piediluco (C.A.P. e M.C.P.), per citare alcune manifatture che, al di là del valore economico, presentano già tutti i caratteri distintivi dell’epoca scelta: «La raccolta ha sicuramente il valore storico e documentale di un periodo fiorente della ceramica italiana. Qualche pezzo è anche molto raro a trovarsi, ma come è noto, la produzione, basata su un progetto artistico, avveniva in serie, e quindi si possono ancora trovare più manufatti identici».
In considerazione della rarefazione nel tempo, dovuta soprattutto alla fragilità del materiale, la collezione di Nazzareno annovera alcuni esemplari che possono ritenersi introvabili se non pezzi unici: «Il più raro è forse il grande piatto di Enrico Pignattelli, uno degli artefici del rilancio della ceramica di Deruta nell’ultimo quarto del XIX secolo. Artigiano e pittore, egli visse il periodo della rinascita grazie alla creazione della Società Anonima Cooperativa per la fabbricazione delle Maioliche in Deruta, nel 1904. Purtroppo morì nel 1915».
L’esemplare più interessante della raccolta è un vaso di Dante Baldelli: «Fu realizzato presso la sua manifattura di Città di Castello dopo la grande esperienza fatta alle Ceramiche Rometti insieme a Corrado Cagli. Il pezzo, modernissimo, elaborato con la collaborazione di Alberto Burri, riporta lo stesso motivo grafico dell’insegna della Manifattura creata dallo stesso Burri e a sua volta riprende, in qualche modo, i suoi famosi gretti».
Infine, il preferito di Nazzareno: «Veramente ne ho molti di preferiti: la scimmia grande di Davide Fabbri per La Salamandra, una scultura di Ruffo Giuntini per Perugia, un piccolo vaso di Corrado Cagli per Rometti…».
Quasi tutti i pezzi della collazione, Nazzareno li ha rastrellati tra case d’asta, mercatini e vendite on line: «Non potendo viaggiare molto per motivi famigliari, ho iniziato ad acquistare in internet; questo ha allargato di molto il mio orizzonte che ora comprende contatti con il mondo intero. Sono subissato di messaggi di privati e di case d’asta, anche piccole, da ogni dove, specialmente dagli USA».
In particolare, questo ultimo passaggio sembra interessante. La presenza di moltissimi manufatti ceramici italiani – e in questo caso umbri – oltre Oceano, non può derivare solo da circostanze legate all’emigrazione dei nostri connazionali né agli acquisti dei turisti stranieri in Italia: «È evidente che esisteva un buon scambio commerciale tra le manifatture umbre e le aziende straniere. E non è tutto. Mi sono informato riguardo agli importatori. E la particolarità, specialmente riguardo agli statunitensi, è che in realtà essi non erano interessati alle firme delle nostre botteghe ma al prodotto ceramico in sé, che quindi veniva inviato all’estero senza il marchio di manifattura specifica. Spesso sotto la base di questi oggetti si trovano solo numeri o il nome dell’impresa o del negozio estero cui erano destinati. Ma io, col tempo, ho imparato a riconoscerli per fattura, tipologia e iconografia, come provenienti dalla nostra zona».
La richiesta economica per una ceramica umbra risalente al periodo considerato può variare di molto: «Dipende sostanzialmente dall’oggetto, dalla manifattura e dall’autore. Per i pezzi meno rari conta molto anche il dove si acquistano: nei mercatini, ad esempio, si possono trovare cose interessanti a poche decine di euro. Una volta, di mattina presto, ho trovato una ceramica di Davide Fabbri al costo di una colazione. Alle fiere antiquarie questo autore viene proposto a cifre molto più alte, come pure alle vendite all’asta».
È abbastanza facile farsi un’idea del mercato attraverso i cataloghi che riportano i risultati, mentre per avere informazioni sulle manifatture e sugli artigiani basta recarsi in alcuni musei specializzati come il Museo Regionale della Ceramica, a Deruta e gli altri presenti nelle maggiori cittadine ceramiche umbre.
Il criterio utilizzato per gli acquisti, invece, investe la sfera personale, il gusto di ognuno e il budget a disposizione: «Il mio primo criterio nel comprare è dettato dalla particolarità e dalla rarità del pezzo; lo stato di conservazione, per me, viene dopo. Considero invece importante la presenza dell’oggetto in qualche pubblicazione o il suo inserimento nei cataloghi/listini del periodo. Io acquisto molto all’estero, i prezzi non sono alti ma la spedizione e le tasse doganali spesso fanno salire il costo che può arrivare ben oltre il valore stesso del bene. Talvolta, essendo contatti così da lontano, anche le trattative stesse sono difficoltose. Ricordo quella volta che ho scovato un grande vaso La Salamandra a Buonos Aires. Ho dovuto impiegare tutte le mie conoscenze argentine per poterlo avere, le trattative sono durate tre mesi ma alla fine sono riuscito ad averlo lasciando sul campo molti euro».
Come spesso capita, l’incontro con altri appassionati sollecita l’interesse su determinati argomenti: «All’inizio ho avuto la fortuna di conoscere Giuseppe Alise collezionista proprietario di una raccolta molto importante ed estremamente numerosa, focalizzata per lo più sulla produzione derutese del XX secolo. Grazie alla sua disponibilità ho iniziato ad apprezzare le cose umbre».
Una volta avuto l’imprintig, Nazzareno è “cresciuto” da solo seguendo il suo istinto: «Sono entrato in contatto con molte persone interessate alla ceramica: con alcune mi raffronto spesso, da altre vengo sollecitato ad acquisire sempre nuovi pezzi».
Anche grazie alla rete messa a punto, il collezionista apprende e affina il suo patrimonio di conoscenza: «Devo dire che l’attività di collezionista/studioso mi sta dando soddisfazioni. Una volta, a un mercatino, ero con tre antiquari che non hanno riconosciuto una scultura di Ruffo Giuntini. Io, prima l’ho acquistata, e poi ho rivelato loro l’autore: sono rimasti molto sorpresi dalla mia competenza».
Cominciare una raccolta di questo genere, tutto sommato, è abbastanza semplice, soprattutto se non si va alla ricerca del pezzo firmato. In giro, infatti, ci sono ancora moltissimi oggetti acquistabili a prezzi molto contenuti, ma prima di lanciarsi, il consiglio di Nazzareno è di aspettare a comprare per acquisire prima la competenza minima necessaria tramite testi specifici, visite ai musei e mostre tematiche.
Nazzareno Mela partecipa con interesse agli scambi di idee e informazioni attraverso il Gruppo Facebook “Collezionisti ceramiche del Novecento”, di cui è promotore proprio il suo amico collezionista Giuseppe Alise. Attraverso il Gruppo lo abbiamo conosciuto, e lo scorso anno la Gazzetta ha avuto il piacere di pubblicare alcune ceramiche provenienti dalla sua raccolta nell’ambito del servizio dedicato alla manifattura Pucci di Umbertide. (vedi “La Gazzetta dell’Antiquariato” n. 248, 2016)
Immagine di copertina: Il collezionista Nazzareno Mela mostra un vaso baccellato della manifattura La Salamandra, Perugia, opera del maestro artigiano Davide Fabbri, anni ’20