Indossare la Bellezza. La grande bigiotteria italiana
Arriva dalla Serbia la mostra che fino allo scorso dicembre ha riscosso un grande successo di pubblico presso l’Istituto Italiano di Cultura di Belgrado. Resterà visibile fino a maggio presso il Museo del Bijou di Casalmaggiore, in provincia di Cremona
Unico in Italia, il Museo del Bijou è stato fondato nel 1986 nello storico e importante distretto di bigiotteria sorto tra XIX e XX secolo. Nei suoi spazi conserva oltre 20 mila pezzi di bigiotteria insieme a macchinari, utensili, fotografie e cataloghi provenienti dalle dismesse industrie locali e da numerose donazioni di aziende del settore e collezioni private. Le raccolte, che vanno dalla fine dell’Ottocento ai primi anni del 2000, periodicamente vengono presentate al pubblico in esposizioni ricche di interesse culturale.
Alla mostra Indossare la Bellezza. La grande bigiotteria italiana, si possono ammirare più di 100 manufatti che raccontano di arte ma anche di inventiva, quella di chi, attraverso materiali non preziosi e tipici della tradizione regionale italiana, ha saputo elaborare bellezza ed eleganza; una sapienza artigiana diventata design grazie a creativi che hanno dato il meglio usando materiali e lavorazioni da secoli presenti nel nostro paese: il vetro di Murano, il corallo di Torre del Greco, la paglia di Firenze, il micro mosaico romano… Ma c’è di più, la visione di questi piccoli capolavori è anche una lezione di storia sociale, un ripasso del susseguirsi di mode e di eventi che hanno segnato la vita degli italiani. «Questo è possibile – spiega la curatrice della mostra, Bianca Cappello – perché la bigiotteria come gioiello popolare è più di ogni altro oggetto a contatto con le persone e con le loro idee e gusti e, mentre il gioiello parla a determinate élite sociali ed è simbolo di status e di potere, la bigiotteria, sia quella di imitazione che di fantasia, esprime il gusto di una collettività mappandone orizzontalmente le varie espressioni culturali. Parlare di bigiotteria italiana significa raccontare la storia delle abitudini e dei costumi di un popolo che, costituitosi in tempi abbastanza recenti in unità nazionale, si è costantemente adoperato per evolvere la multitudine di caratteristiche estetiche e formali delle tradizioni locali che lo compongono, per creare un codice condiviso e identificativo sotto l’egida della Bellezza».
Gli esordi post unitari
Dopo l’Unificazione il panorama italiano si presenta ancora fortemente disorganico, ma una certa disponibilità di risorse economiche messe in campo dal governo nazionale crea posti lavoro. Ne beneficiano le classi operaia e piccolo borghesi i cui introiti vanno a incrementare la richiesta di generi non primari: soprattutto abbigliamento ma anche ornamenti di buon artigianato che, grazie alla messa a punto della placcatura in oro, si mostrano quali sono: veri e propri manufatti di pregio, esordi della buona bigiotteria moderna. E mentre in tutti i settori delle arti decorative si tende alla creazione di un gusto nazionale condiviso, nel 1882, in provincia di Cremona, nasce a Casalmaggiore uno dei primi distretti industriali italiani di bigiotteria, che diventerà nel corso del primo Novecento una delle maggiori realtà produttive del settore.
’30-’40
Gli anni di autarchia e di guerra
Negli anni Trenta, con l’Europa che mira alla politica espansionistica e coloniale, anche il panorama decorativo si allarga. Il gioiello, e di riflesso il bijou, trovano nuova fonte d’ispirazione nella suggestione di terre lontane o anche solo al di là del Mediterraneo. Collane, spille, bracciali…, prendono forma di animali e piante esotiche: leoni, elefanti, palme, ed anche i caratteri somatici delle popolazioni con cui gli italiani entrano in contatto vengono riportati in spille ed altri ornamenti. Al contempo, l’occupazione italiana dell’Etiopia è causa delle sanzioni da parte della Società delle Nazioni, a cui Mussolini risponde con l’autarchia. Dal 1936, quanto in precedenza importato da determinati paesi, deve essere sostituito da prodotti locali. Questo, se da un lato provoca difficoltà e ristrettezze, dall’altro sprona la ricerca e conduce a un più ampio e diversificato utizzo delle risorse interne disponibili. Accanto all’invenzione della galalite e alle nuove leghe metalliche, troviamo il recupero delle materie tradizionali di lavorazione artigiana: il sughero sardo, il corallo campano e siciliano, la paglia fiorentina, il vetro veneziano, il panno torinese…, e tutte trovano utilizzo in una bigiotteria arricchita da conchiglie, ceramica, legno, ed altri materiali naturali che rimarranno in uso negli anni di guerra e successivamente per diverso tempo.
’60-’70
Gli anni dei forti cambiamenti
Negli anni Sessanta, mentre i migliori gioiellieri italiani vendono i loro piccoli capolavori alle signore del jet set e alle dive nostrane e straniere, maestri bigiottieri esaltano il valore estetico di quelle preziosità realizzando pezzi di altrettanta bellezza, sfavillanti di strass e cristalli, perle e diamanti, smeraldi e rubini, tutti rigorosamente falsi. Le occasioni per esibirli non mancano: cocktail party, serate danzanti, opera, teatro, l’Italia di quegli anni punta alla ripresa anche attraverso il divertimento. Questo decennio che consacra il suo successo con la creazione del marchio Made in Italy per i prodotti d’esportazione, vede il mondo della moda accingersi a fondamentali cambiamenti: nasce il total look di Valentino (tra i primi), che unirà per sempre: abito, accessorio e bijou, pensati come unico progetto mentre accanto al sarto prende forma la figura dello stilista, un designer a disposizione dell’industria della moda. Negli anni Settanta i frutti degli eventi sessantottini andranno a definire una nuova categoria di utenti: i giovani, portatori di valori estetici autonomi e diversificati, una fascia di utenti che richiede scelte produttive in grado di soddisfare un gusto fortemente condizionato dalla realtà contingente. Il decennio delle proteste e dei cortei, dei raduni per la pace e l’uguaglianza, tradotto in bigiotteria giovanile significa uso di perline, di cuoio, di vetro colorato…, bijoux semplici, da abbinare ai jeans e alle ampie gonne zingaresche, alle camicette della nonna, ai vestiti di gusto etnico e popolare.
Indossare la Bellezza. La grande bigiotteria italiana
Museo del Bijou
Casalmaggiore (CR) – Via Azio Porzio 9
Orario: dal lunedì al sabato 10-12/15-18; domenica e festivi 15-19
“Esibito in quanto falso gioiello,il bijou appare più significativo e più vero nella sua bellezza proprio perché privo di valore intrinseco. Impostosi definitivamente nell’immaginario collettivo a partire dai costumi degli spettacoli popolari, dal teatro, dall’opera,dal cinema, il bijou, che non ha valore, lo crea attraverso la seduzione irresistibile e inconsapevole del pubblico. Oggi chi indossa un bijou va alla ricerca di una bellezza che si vuole distintiva, una bellezza comunicativa, liberata dal peso dei valori convenzionali. Davide Scalmani Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Belgrado”
Lo chiamavano “oro matto”
Le signore un po’ datate lo ricordano certamente: col termine popolare di “oro matto” si indicava un monile dorato ma non realizzato in oro. Un oggetto in bigiotteria che all’apparenza sembrava essere prezioso, tanto era ben fatto. Tutto merito del nuovo sistema di doratura inventato da Giulio Galluzzi nel 1882. L’artigiano-inventore nato a Codogno, si trasferì a Casalmaggiore nel 1872 e qui mise a punto, per primo in Italia, un sistema che permetteva di ricoprire una lastra di metallo vile con uno spessore sottilissimo di metallo nobile, una placcatura creata non attraverso il procedimento galvanico ma con l’utilizzo di una pressa metallica che, dopo la realizzazione, dorava il pezzo. Dall’applicazione di questa nuova tecnica prese il via la fiorente produzione di oggetti che la ditta di Galluzzi arrivò ad esportare in tutto il mondo: non solo bigiotteria ma anche portasigarette, occhiali… Nel 1920 le varie attività messe in essere dall’imprenditore confluirono nella Società Anonima Fabbriche Riunite Placcato Oro, una fiorente industria di Casalmaggiore che nel corso del Novercento diede lavoro e specificità produttiva a tutta la zona. Alla metà degli anni ’70 la fabbrica cessò l’attività: il ricchissimo patrimonio fatto di attrezzature e il totale campionario di bijioux erano a rischio di dispersione. Fu allora che un gruppo di ex-dipendenti costituitisi nell’Associazione Amici del Bijou di Casalmaggiore se ne fece carico dando vita al Museo del Bijou dedicato a Giulio Galluzzi, ora patrimonio della collettività.
(Articolo pubblicato su La Gazzetta dell’Antiquariato n. 243 – Aprile 2016)