Rubrica di expertise gratuite
Autore: prof. Antonello Ferrero
Prof. d’arte e antiquariato ai sensi della Legge 14-2-2013 comma 1-2
In collaborazione con il Museo del Collezionista d’Arte – Metodi Scientifici d’accertamento, Milano
Hai ereditato o acquistato un oggetto e vuoi sapere quanto vale? Inviaci una richiesta di expertise gratuita!
• E-mail: info@lagazzettadellantiquariato.it
La richiesta di expertise deve essere completa di: foto dettagliate dell’oggetto; misure precise; firme e marchi (ove presenti).
Si dichiara che i pareri esposti nella rubrica sono espressi dallo scrivente in ottemperanza della Legge 14 Gennaio 2013 n° 4 in materia di professioni non organizzate in Ordini o Collegi.
Gentili lettori, stante il crescente numero di expertise che ci pervengono quotidianamente, vi informiamo che tutte le richieste saranno soddisfatte ma che potranno passare anche due/tre mesi dal vostro invio del materiale.
Le risposte, a meno di casi particolari – ritenuti tali dal prof. Antonello Ferrero – verranno date esclusivamente attraverso la rubrica “L’Esperto” pubblicata su www.lagazzettadellantiquariato.it. Pertanto, per poter rimanere aggiornati circa l’uscita periodica di nuove expertise, vi consigliamo l’iscrizione alla nostra newsletter gratuita.
Non so come, si è sparsa la voce che il perito sia un veggente. Non è vero! Per valutazioni corrette servono più foto degli oggetti: fronte, retro, sotto, interni. Inoltre non risponderò più a quesiti su oggetti, quadri, mobili, mancanti di misure. A.F.
Dicembre 2024
Il canale televisivo, mi scrive il lettore B. Bongiorno, è Warner Bros Discovery, il soggetto, è un certo Drew Pritchard che si definisce antiquario e così titola dei suoi colleghi, altri soggetti come lui che trattano – girando con un furgone nell’Inghilterra – ciarpamaneria dell’usato e della rigatteria, al massimo del modernariato, quando non cose abbandonate in discarica e riciclate come d’arredamento. Ma signor Bongiorno, è una serie televisiva, sono attori non è la realtà, è la tipologia delle serie americane arrivate purtroppo tra noi proponendosi come episodi della vita reale. Niente è consono, tanto meno le cifre esposte e trattate. La vita è altrove. Il programma denota poi una scarsa conoscenza da parte di sceneggiatori e autori delle cose veramente antiche, non hanno neanche interpellato veri antiquari inglesi, che sono rimasti pochi – come in Italia – ma che sono veramente preparati.
Ma sì, il programma l’ho visionato e nonostante tutto propone nel campo del modernariato cose anche molto piacevoli, ma è appunto un programma di solo svago, non lo prenda sul serio!
Riguardo la sua domanda sul pittore Angelo Lisi, di Torre Angela (Roma), e di cui parlai anni fa, era un mestierante decoratore e aveva una certa maestria nei paesaggi con fondi e alberi; difettava nelle figure e così gli ordinavano solo i fondali, a decine, che altri mestieranti riempivano dei vari soggetti. Iniziò a dipingere da bambino ed era un profondo conoscitore della tecnica ad olio. Naturalmente, i suoi quadri tipici degli anni 50-60 non sono trattati dal mercato.
La signora Lidya mi cita “L’Informatore”, vecchio bimensile dei mercati e delle aste di tutto il mondo fondato da Silvio Vecchietti di Bologna, una persona di grandissime qualità organizzative che ho anche conosciuto, uno strumento importantissimo per i mercanti e i collezionisti (soprattutto dopo che la nostra Gazzetta che si occupava solo di mercati e mercatini italiani è stata costretta ad eliminare la detta rubrica), e un articolo di Davide Rossi (esperto di pubblicità) che a leggerlo desta solo malinconia, e nonostante l’articolista lucidamente elenchi le cause del decadimento dell’antiquariato, non citando nella depressione culturale delle nuove generazioni succedutesi la vera ragione, si spencoli in un ragionamento che alla fine permetterà, in altre vie ed in altri modi, il continuo della professione. Eh già, ma il popolo, la gente, che comprerà? Si trasformerà acquistando modernariato e vintage? Diventeranno essi l’antiquariato, quelle cose belle che si comprano e guardano sempre (sic) citati dal nostro? Capisco, il Rossi è un benemerito nostalgico del bello, ma bisogna purtroppo aprire e finestre e mente ed accorgersi della dura realtà. Ed è quella per cui mobili ed accessori sono venduti al prezzo dell’usato in tutti i mercati del mondo. Punto. Il resto sono cose museali o trattate come tali e che mi ricordano il diamante, il cui prezzo è tale perché il maggior suo produttore ne ha incettato migliaia di tonnellate e continua a farlo, e le tiene chiuse al riparo dal mercato, che altrimenti non varrebbero più niente.
Quindi signora Lidya io capisco come la sua scrivania Impero sia un bel mobile con fregi e dorature, e che fu acquistata da suo padre avvocato a 25 milioni delle vecchie lire, e che oggi si vedrebbe relegata ad un massimo di 4/5 mila euro, ma il problema adesso è poterla vendere, e a chi. Non pubblico come chiesto, e mi spiace, volendo far comprendere ai lettori tutti interessati nel campo come anche mobili sontuosi non trovino ai nostri giorni il giusto risalto e valore.
Prof. Franco Ristori collezionista, ho esaminato con l’attenzione dovuta la sua opera (cm 134×80) per quanto mi hanno consentito le immagini inviate. Le posso subito dire come essa non possa essere ascritta, e come da lei anche ipotizzato, al pittore Giovanni Bilivert o Biliverti (1576-1644), fiorentino di nascita ma figlio del pittore ed orafo olandese Giacomo Bylivelt. La sua tela ha uno svolto pittorico eseguito da un decoratore di fondali, le figure sono piatte, non v’è plasticità e non si può accostare allo stile delicato e morbido del Bilivert né tanto meno agli accenti chiaroscurali della scuola caravaggesca cui era debitore per studi e conoscenze. È soggetto arredativo collocabile nel XVIII secolo (ma a questo riguardo andrebbe visionato dal vero) per un valore di 1.200/1.500 euro.
Il gradito lettore signor Gustavo De Pas da Torino, che ringrazio per le belle parole rivoltemi, manda in visione l’immagine di una coppia di potiches giapponesi in stile Imari (h 60 cm) con la sommità a coperchio con due “cani fo” cinesi (o leoni di pietra shishi) assomiglianti alla razza cinese chow chow e alla shih tzu da cui il nome. Accoppiamento eclettico delle manifatture del Sol levante di produzione esportativa anni 50-70 del ‘900, il loro valore è, sì, intorno ai 1.200 euro.
Il fedele lettore signor Michele Angelo mi interpella circa una figurina d’addobbo in vetro per albero di Natale, prodotta dalla soffieria -vetreria De Carlini a Macherio (Monza). Rispondo al piccolo quesito qui nella rubrica per comunicare così anche genericamente con la signora Rovarati e i signori Sorani che mi avevano interpellato circa questa artigianalità. La ditta De Carlini, sorta nel 1947 e ancora attiva, ha la particolarità di creare i suoi oggetti in vetro soffiandoli “a bocca” e decorandoli a mano.
Il “pupazzetto”del signor Michele ha purtroppo una piccola rottura apicale che pur non pregiudicandolo (è sulla svasatura dell’appendicolo) lo fa passare dai 100 euro ai 30.
Signora M. Marini, il suo quesito riguarda il poeta e pittore francese Leon Dierx (1838-1912), nato nella regione d’oltremare francese “La Reunion”, isola dell’Oceano Indiano dove nella capitale Saint Denis hanno dedicato un Museo a suo nome. E parliamo dell’opera posta alla mia attenzione, un paesaggio (cm 84×102) che – al di là del fatto che l’artista in questione sia stato un eccellente poeta, fautore del movimento Parnasse e pittore sia pur valente per diletto – evidenzia in primo piano un albero che dire mal eseguito è un eufemismo; al retro poi l’opera presenta chiusa in compensato un tremendo tentativo di “invecchiamento, scurimento?” a base di anilina!, e un “appiccicagnolo” modernissimo. Quindi, o il corniciaio era un malnato uomo a cui lei ha temerariamente affidato l’opera o il dipinto è un falso! Ed io, che a semplice vista dal vero le potrei dirimere e subito la questione, purtroppo da sole immagini posso solo azzardare. La informo inoltre che del poeta pittore non vi sono che discordanti valutazioni nel mercato, non venendo normalmente trattato. Non so che altro dirle se non di farlo esaminare ad una Casa d’aste della sua città e de visu.
Signora Cristina, eh sì! che ritengo opportuno disquisire del suo piccolo gadget in ceramica, un boccale da birra (h 15 cm) con sovra impressa la specialità medicinale Pernexin (un ricostituente a base di ferro trivalente della Casa farmaceutica Bayer) per parlare della ditta ceramica che l’ha prodotto, la Tasca, famiglia di ceramisti di Nove il cui maggiore ed emerito rappresentante è stato Alessio, valente artigiano nato nel 1929 a Nove, appunto, in provincia di Vicenza, e morto nel 2020. Scultore, coroplasta e artefice di tecniche innovative esposte in tutto il mondo, egli affiancava ad una linea di pezzi unici tutta una serie di produzioni pubblicitarie per i clienti. Il suo boccale, signora, è una di queste, databile 1994-96. Il valore di mercato naturalmente, per una produzione in serie, è modesto: sui 30/60 euro; un po’ di più può ricavarne vendendolo alla Casa farmaceutica e ai suoi accoliti, sperando non ne abbiano neanche uno, e così allora, speculandoci sopra – e ci mancherebbe il contrario con questi (parola da denuncia omessa) – ricavando almeno cinque volte tanto, e posto che tali “signori” per dire, siano interessati a qualcos’altro che non sia il profitto, il denaro!
Fedele lettore signor Aldo Randazzo, il suo quadretto (cm 25×20) è delizioso: scuola romana del 900? Non conosco né è nota ai miei prontuari la firma impressa V. Taccia. V’è un noto pittore Vincenzo Taccia ma si dedicò a vetrate e soggetti religiosi e dunque non è il caso. Lo tenga da bene, anche se non posso dirle altro. Valore da quadro di bell’arredamento dai 250 euro in su.
Signora Emma Pascoli da Civitavecchia (Rm), la sua china (cm 20×20) di Massimo Campigli (1895-1971) a me non sembra essere tale ma piuttosto un carboncino, e comunque è lei che mi deve trasmettere dati, documentazione e storicità della sua opera. E comunque, non vorrà che gliela certifichi certo io e da lontano… o sì? Le posso dare al massimo l’indirizzo della Fondazione ed i riferimenti.
Signor Luigi Niegro da Napoli, il suo daino (90 cm) in bronzo (sul tipo di un modello pompeiano ritrovato nella villa dei Papiri ad Ercolano) ha una bella patina; fu prodotto da un’interessante fonderia ad inizi 900 nella sua stessa città, forse la allora Sabatino De Angelis e figli. Il valore è intorno ai 1.200/1.500 euro.
La signora Veronica Piras da Capranica (Vt) manda in visione una tempera su cartone (cm 40×50) di Giorgio Morandi (1890-1964) con certificazioni varie di: Galleria Cola in Via Cola di Rienzo n.173 forse esistente negli anni 70 a Roma, Accademia internazionale degli Artisti che chissà se mai esistita, così come l’Accademico del Principato Artistico di Montecarlo, tale Prof. Rodolfo Pisano degli Umberti di Vallombrosa (?). L’opera è platealmente falsa nelle certificazioni ma anche nel paesaggio del 1929 (che uguale è nell’Opera generale del Maestro ma come dipinto ad olio su tela).
Signor Oreste Gesmundi, non sono in grado di poter valutare la sua collezione di scatole di fiammiferi italiani di oltre 500 pezzi. Il collezionismo è morto ed i collezionisti ancora in vita, e mi auguro in salute come lei, vogliono vendere, visto il completo disinteresse dei famigli ed il rischio che alla loro, si spera tarda dipartita, gli eredi affidino la sudata collezione ad un mercataro, nella più rosea speranza o, nella più triste, alla differenziata comunale. Il problema è che di nuovi collezionisti e giovani ve ne sono ben pochi e ancora meno colti e rarissimi i danarosi per le collezioni pur prestigiose per storia e cultura dei tempi ma di second’ordine. E poi, bisognerebbe visionare ogni singolo pezzo che magari racconta storie perdute di vita e che solo lei conosce. In più, trovare l’acquirente disposto e con lui trattare è arduo!
AVVERTENZA a tutti i signori lettori che amano l’arte e l’antico, e che magari hanno avuto in famiglia o reperito in qualche mercatino un quadro con una firma che da una subitanea indagine sulla Rete hanno appreso essere classificato e valutato nell’ordine di migliaia di euro.
E facciamo un po’ d’ordine: già ne ho scritto ma repetita juvant!
Il destro me lo fornisce una signora cara amica di famiglia che incontrandomi mi dice: “Ho trovato al mercato un bel quadro che mi piaceva a poche decine di euro e poi ho scoperto che l’autore ha una valutazione di tremila euro”, e questa valutazione di artista talmente sconosciuto che non ne ricordo il nome, la forniva una altrettanto sconosciuta galleria d’arte che raggiunta telefonicamente dalla signora entusiasta di avere fatto “il colpo” si proponeva per acquistare il quadro.
Dopo aver visto in foto la supposta opera d’arte dico all’amica: “Ma dai… non è opera d’arte sublime… l’autore è sconosciuto, e visto quello che produce è semmai un buon decoratore, mestierante, non certo un artista!”. E lei con cipiglio ribatte: “Ma ti sbagli, l’autore è su Wikipedia ed in più è esposto in una galleria comunale di un paese del sud”! Cioè, praticamente, lei aveva fatto la scoperta ed io, per ignoranza o che so invidia, non le stavo dando soddisfazione. E questa signora è una mia amica… mi conosce da anni, pensate un po’ se mi fosse stata estranea.
Ho studiato anni ed anni, speso una fortuna in libri, testi, abbonamenti a costosissimi cataloghi d’asta e risultati di mercato, visitato migliaia di musei, gallerie, raccolte, fiere nazionali ed internazionali, e antiquari, quelli veri e quelli falsi, mercatini (ma quando erano d’antiquariato e non gli attuali di ciarpamaneria, parlo del centro Italia naturalmente, che nel nord ancora resistono i connoiser-trovatori che se non sono antiquari poco ci manca, e con ancora delle cose fantastiche), ed ecco che la buona amica reduce da tutt’altri studi, ma forte di frequentazione di mercatini e laureata alla facoltà di internet, mi viene ad erudire. La provoco: “E allora vendilo alla galleria ai migliaia di euro, voglio proprio vedere se te li danno”, e lei: “No, non lo vendo, vale e me lo tengo!”.
Allora “De omnibus rebus et quibusdam aliis” (“A proposito di tutto e di qualcosa d’altro”, come diceva Pico della Mirandola) ecco Wikipedia: un’enciclopedia di tutto lo scibile umano redatta non da professori, ricercatori delle innumerevoli materie trattate, no!, ma dalle rete stessa cioè da coloro che – pur essendo nella maggior parte analfabeti delle stesse – sono dei fenomeni nella digitazione e scansione del computer. Essi non fanno altro che copia-incolla da enciclopedie e pubblicazioni varie aggiungendovi “balle” reperite chissà dove. Nel campo scientifico forse ci sarà pur qualcuno che ogni tanto presiede alla verifica dei dati e alle computazioni, ma nell’arte e nella sua ricerca ciò non accade e quindi sono tutti professori! È per questo motivo che in internet nelle varie voci vengono riportati dei dati che definire aberranti è un eufemismo, ed è sempre per questo che poi i tuttologi – e vale anche per i lettori che mandano quesiti al perito “gratuito” dopo aver prima sondato la rete – se il giudizio dato dall’esperto non corrisponde alle loro ricerche si sentono autorizzati ad affermare: “Ma questo è un asino, ne so ben io!”.
E veniamo all’avvertenza vera e propria.
V’è un proliferare di agenzie e gallerie in rete – a volte anche con indirizzi fisici – che in genere trattano pittori in ambito regionale (liguri, emiliani, piemontesi ecc.) e che propongono acquisti e vendita di una miriade e alfabetica sequela di pittori peritandosi di indicarne cifre in genere alte e non corrispondenti al mercato, e allora… dov’è il rebus, chi guadagna? E qui vi rivelo che: nessuno vi comprerà mai niente!
Mi spiego. Nel caso vogliate acquistare quel dato autore per motivi sentimentali di corregionalità od altro, le alte cifre servono per agganciarvi e vendervi ad alto prezzo un pittore le cui opere non lo valgono. Se invece volete vendere, allora per prima cosa, e per dar pieno valore alla vostra opera, vi dicono che dovete dotarvi di una expertise e che, essendo loro promoter di questi pittori, ve la possono fornire anche a poche centinaia di euro! In questo modo, vi dicono, essi potranno vendere l’opera ai loro clienti con una loro attestazione e di cui solo si fidano. A questo punto voi pensate di lasciare loro l’opera ed invece, a sorpresa, e dopo l’expertise a pagamento, vi dicono di riportarvela a casa per vostra fiducia e sicurezza e perché altrimenti la dovrebbero assicurare ecc.
E voi aspettate… aspettate che vendano la vostra opera ai tremila euro stimati: “Campa cavallo che l’erba cresce”… si diceva quando ero piccolo, ora non si dice più, ma voi sempre ad aspettare starete!
In finis, ho saputo da mercatari vari che una serie di gallerie a Roma hanno fatto “la mossa del cavallo”. Si tratta di questo: hanno cominciato a regalare agli espositori di mercatini tutta una serie di quadri e quadretti degli innumerevoli artisti espositori alla famosa rassegna di Via Margutta, artisti che trenta, quaranta anni fa valevano un milione/due delle vecchie lire e che tali cifre convertite in euro ancora alcuni – artisti stessi, loro parenti e sodali, gente i cui famigli li hanno acquistati – a quelle cifre propongono. Ora, la persona che le compra al mercatino per venti euro sbircia poi in internet e, gaudio!, vede moltiplicato sostanzialmente il valore del suo acquisto e prova a mettere annunci di vendita senza risultato. Si accorge però che esistono gallerie che annunciano di acquistare le opere di tali autori a cifre sensibili (nonostante alle aste vadano invendute ai cinquanta e cento euro anche opere di artisti di tutto rispetto e non solo gli imbratta-tele). E lì che inizia l’operazione expertise a pagamento e la tentata vendita con susseguente solito “cavallo che campa e l’erba che cresce”.
E come sempre, un saluto a tutti e un abbraccio ai pochi!
BUONE FESTE
Novembre 2024
Il collezionista e mio fedele lettore Roberto Desogus dalla meraviglia di mare e monti di Quartu S. Elena (CA) pone alla mia attenzione due suoi nuovi acquisti. Il primo è un piatto (cm 40 diametro) a firma Ovidio Gragnoli (Arcidosso 1893 – Firenze 1953), pezzo non realizzato a tecnica Raku ma propriamente tratto distintivo alla “ malfatto” tipico della ditta aretina dove lavorava, ove inventavano cotture a metà e “ripassate” ad effetto. Finissimo ed eclettico pittore soprattutto e ceramista, Ovidio Gragnoli si forma all’Istituto d’Arte di Siena con il fratello Mino anche lui pittore. Entra nel 1928 grazie all’amico Mario Marcucci, importante artista viareggino del ‘900, nel gruppo dei decoratori della Giotto Ceramica di Giotto Giannoni, fondata nel 1919 a Monte San Savino (AR) e ne esce nel 1933 per le difficoltà della fabbrica nel mercato. Non risultano ai miei prontuari – nonostante ben conosca l’autore ed i suoi luoghi natii e sia in possesso di sue opere pittoriche – altre sue “imprese” nel campo della coroplastica. Nello stesso centro di Monte Savino operò come pittore nella decorazione della volta absidale della chiesa di Sant’Agostino e in diverse cappelle del Cimitero della Misericordia. Le sue opere ceramiche non hanno mercati di riferimento ma a mio parere – e certo di fare testo – sono rarissime e di garbo, per cui stimerei il suo piatto (40 cm) sui 300/400 euro.
Il secondo acquisto riguarda una brocca alta 26 cm opera del ceramista e scultore Guido Infante (1930-2020) – prediletto dal signor Roberto, meno a me – che giudicherei del valore di 200/250 euro.
Ricambio di cuore l’abbraccio sardo!
Il signor Andrea Mariano Randon manda immagini di 3 acqueforti. Di due di esse non v’è neanche da scriverne: tali prodotti hanno oramai valutazioni di poche decine di euro cadauna e sono anche non vendibili. Quella di 33×26,5 cm, invece, firmata Tito Conti (e non Fito) (1842-1924), grande pittore di genere storico, è interessante. Fosse un disegno varrebbe sui 350 euro, per una litografia invece siamo sui 120 euro.
Signor Andrea Colombo la sua miniatura (5,5 cm il tondo) è un vero bijoux, un piccolo miracolo di soluzione stilistica ove si intuisce la personalità del raffigurato purtroppo – e su questo lei ha perfettamente inteso – scomparso. La mestizia della morte accettata supinamente. Certamente un bel pittore colui che lo ha eseguito ma ignoto, giacché in genere, proprio per la particolare ritrattistica post mortem, tali opere commissionate non venivano di solito firmate. Il sottostante materiale potrebbe essere avorio o corno satinato. Il periodo è certamente ottocentesco, e per tipologia e per esecuzione. Il valore – mi spencolo, innamorato dell’oggetto – è sui 500 euro, non parlando di decessi ma di “letterato malinconico”.
Signora Clelia, la sua litografia firmata Picasso mancante di certificazioni di casa editrice e/o stamperia autorizzata a produrla non vale nulla. Avesse tale certificazione sui 150/200 euro.
Al signor Boris Frigeri rispondo egualmente anche se non ha mandato assolutamente alcuna misura degli oggetti ereditati dal nonno; lo faccio in virtù del fatto che uno dei suoi quesiti mi offre l’opportunità di rispondere anche ad un’altra lettrice, la signora Lucia Danesi che, viceversa, manda misure esatte della sua “pendolina” ma in unica foto “da paesaggio” (cioè fatta da almeno dieci metri di distanza), ed anche perché i pezzi del signor Boris, senza marchi di sorta né antichità evidenti, non valgono che poche decine di euro cadauno. Fa eccezione, appunto, solo la pendola della FHS (Franz Hermle & Sons) fondata in Germania nel 1922. Fornitrice di meccanismi efficienti ad una serie di molteplici ditte europee, dagli anni 70 in poi la ditta ha iniziato anche una propria produzione di pendole grandi e piccole e orologi da muro e tavola con canoni pseudo antichi. Non si tratta certamente di eccellenze orologiaie ma certamente di onesti ed affidabili meccanismi da 150/250 euro, nei casi delle pendole di entrambi i lettori.
La lettrice Sylvie Robert manda in visione un piede bronzeo di statua (27×11 cm) che devo necessariamente dichiarare una copia, e d’altronde non ho elementi ulteriori per definirlo un reperto antico. Fosse tale, esorterei la signora a presentare una denuncia di detenzione di materiale archeologico presso una stazione di Carabinieri, significandole, d’altronde, che questi signori – essendo persone e per natura e per precipuo compito diffidenti dell’animo altrui – sarebbero estremamente curiosi riguardo l’appartenenza del reperto e potrebbero porle innumerevoli domande sulla sua provenienza. Quindi, trattandosi di una copia otto novecentesca, e posto che non sia di più recente fattura, diciamo che l’oggetto è un suggestivo soprammobile da 250/350 euro.
Signora Emma Licata, le sue sono cornici degli anni 40-70 del ‘900 e non hanno grande valore a causa delle loro ridotte dimensioni (sui 20-30 cm). Sia pur ovali, e quindi richieste, non possono valere oltre i 40/60 euro cadauna.
Il signor Fabio Frattarelli porta alla mia attenzione un elegante vaso marcato Satsuma – Made in Cina (h cm 66). Peccato, signor Fabio, che le porcellane Satsuma siano di manifattura giapponese. Esse prendono il nome proprio dalla località vicino l’isola-regione di Kyushu, e trovano la loro origine dalla lavorazione dei vasai coreani assoldati dalla famiglia Shimazu in seguito alla guerra che assoggettò la Corea (1592-1598). I detti – come il suo – “Royal Satsuma”, con tanto di marchio, sono oggetti cinesi che, naturalmente, valgono solo per arredamento, e per tale motivo sui 250/300 euro per la grandezza, anche se in rete qualche esagitato ci prova a venderli ad oltre.
Signor Gianni Ruzzoni da Portogruaro (VE), il suo capitello da finestra (cm 25x25x20) innestato poi su ferro battuto, per gli stilemi – e solo, vista la mancanza di patine – potrebbe essere del XIII-XIV secolo. Ma… ma come appunto scritto, la completa ripulitura non ne consente, sia pur da foto, una esauriente patente di tale vetustà. I veronesi – e non solo – sono specializzati in tali repliche da centinaia d’anni. Comunque, fosse d’epoca e avesse patina, varrebbe sui 500 euro.
Signora Lucia Capobianco, la scrivania acquistata da suo padre negli anni 70 – in stile Luigi XV semmai – ai nostri giorni in cui purtroppo anche i pezzi d’epoca sono bistrattati, non può avere valore che d’arredamento: 600/800 euro.
Signor Massimo Bertelli, avrà fatto certo del suo meglio, ma foto più brutte non poteva mandarmene. Già analizzare antichità da foto è dura, tanto che solo decenni e decenni di pratica mi consentono dei lumi di risposta, ma così!… Fortunatamente per me, ma non per lei, il comò inviato che ipotizza essere un Luigi XV, avendo le gambe a cipolla è platealmente riconducibile all’Otto-Novecento. Ma sì…, un ‘900 inoltrato, anche per lo spessore dei cassetti e l’intarsio povero con ferramenta industriale. Copia eclettica dell’antico che potrebbe valere tra i 300 e i 500 euro per arredamento.
Signora Cinzia Peveretti da Parabiago (MI), rispondendo a lei rispondo preliminarmente anche alla signora Lidia Famelli.
Il mercato colloca i servizi antichi in un’area di sottostima ma anche di un certo interesse arredativo. Insomma, fanno popolarmente ancora la loro “porca figura” ma devono essere: primo, molto figurati e/o con abbondìo di ori e smalti; secondo, perfetti e nella loro composizione completa, ossia piatti piani uguali ai piatti fondi, due o tre grandi piatti di servizio minimo, una zuppiera, una salsiera ed eventuali altri oggetti da servizio, ma non indispensabili. Il suo servizio, signora Cinzia – con incerto marchio Ginori che mi fa pensare ad un insieme fallato e messo in vendita a prezzo minore, oppure ad una produzione spuria di fabbriche napoletane esperte in questi “servizi” (ipotesi quasi confermata da lei stessa che ha constatato pesi ragguardevoli da “terraglia” e non da porcellana) – a giudicare dagli stilemi è un prodotto degli anni 40-50 con semplice decoro; in più, è “spaiato” e, dulcis in fundo, presenta difetti! Pertanto, purtroppo, siamo nell’ordine di valori bassi che potrebbe far suoi vendendo le stoviglie singolarmente in rete o nei mercatini: i piatti sui 5 euro, piatti grandi sui 15, la zuppiera 40/60, ecc.
Signor Renato Pollini, oramai girano ovunque individui privi di cultura e di medaglietta (perlomeno) che, spacciandosi per conoscitori e addirittura antiquari, sgomitano un po’ ovunque nei mercatini bassi e/o nei negozietti e negozioni di vendita conto terzi, comprando per poi rivendere in mercati centrali: da Ponte Milvio a Conca d’Oro e altri nel centro di Roma. Naturalmente, il loro sapere è improntato da Wikipedia, là ove si formano anche ingegneri che parlano con dovizia dei tiranti del ponte Morandotti di Genova e ne spiegano i loro difetti strutturali, o dove ogni notizia di cronaca trova i pronti esperti-professori. Questi individui di bassa lega si peritano poi di invalidare giudizi ed expertise di chi ha veramente studiato, e non facendo come loro i verdurai, i manovali, i camerieri, i galeristi (con una elle sola) o i venditori di stracci o di cocco (e con tutto il rispetto per chi questi mestieri li fa per vivere). Il suo “individuo”, che ohimè conosco, è un poverino sempre alle prese con il vitto quotidiano e l’alloggio mensile.
Le ha detto che il mio giudizio sulle sue ceramiche è fallace e certamente non me ne adombrerò, lo faccia – se crede – anche lei.
Signore e compagne di vita Lidia Baldassarre e Annamaria Lulli mie grandi, intelligentissime e gradite lettrici da trentanni, come già vi ho detto telefonicamente, la vostra tavoletta ad olio non riflette appieno l’opera del Vincenzo Cabianca (1827-1902) grande artista ascritto d’emblée ai Macchiaioli, ma di multiforme ingegno pittorico. Mi ritengo abbastanza conoscitore della sua opera tanto da potermi spencolare sulla sua tecnica decorativa prendendo innanzitutto in esame i colori usati nella tela. All’epoca essi già riflettevano la loro derivazione dalle scoperte chimiche che avevano portato all’abbandono delle macinazioni, delle cotture e dei colori vegetali animali e minerali antichi. Tra solfuri di cadmio, cromati e acetoarseniacali, il Cabianca usava il bianco di zinco, prodotto dalla sua vaporizzazione e ossidazione, che conferiva quei “colpi” di luce che caratterizzavano e accendevano la produzione del maestro là ove egli raffigurava atmosfere cupe, velate grigie invernali, le ombre dei chiostri o della natura. Nel vostro dipinto, signore, v’è un bianco calcificato (grassello appunto di calce o di ossa?) che è smunto e appiattito, e tale – come avete notato – è rimasto dopo la ripulitura della tela. Poi…, poi il Cabianca è morto il 22 marzo del 1902, mentre il retro della tavoletta la indica dipinta il 28 marzo del 1902. Allora?
E voglio annotare nel frangente, a proposito di date e non solo, un curioso caso capitatomi nello sfogliare il Catalogo “Cabianca e la civiltà dei Macchiaioli”, edito per le omonime mostre tenutasi a Orvieto dal 6 aprile al 1 luglio 2007 e a Firenze dal 12 luglio al 14 Ottobre 2007, dalla Cassa Risparmio di Firenze. L’opera è di pregio, ma…, ma a pag. 254 del poderoso volume (cap. IV 18), e nel capitolo a cura della studiosa Rossella Campana, v’è “un inedito” (sic): “La casa di Claudio Lungotevere Flaminio, 1901” firmato e datato “V. Cabianca Roma 1901”. Ora, premesso che il pittore era estremamente meticoloso e dipingeva quasi sempre en plein air, chiunque abiti e viva a Roma troverebbe atipica questa veduta del fiume Tevere nel centro di Roma, ove mancano i famosi “muraglioni” (i bastioni che furono costruiti per contenere il fiume ed i suoi danni dopo la disastrosa alluvione in città del 1870 e che terminarono nel 1900). Come mai nel quadro del 1901 vi sono ancora le rive a prato e non v’è traccia di essi? Come mai non v’è traccia – ad occhio, che non ho mai visto l’opera dal vero – del famoso bianco zinco con cui il pittore illuminava gli scorci e le scene? Nelle case v’è la calcina dei muri che si acquieta quasi nel fluire lento del fiume. È Cabianca l’autore? …Ha elaborato un bozzetto fatto a Roma in epoca posteriore? Io, per intenderci, un quadro simile non lo comprerei mai, poi qualcuno lo potrà pur ascrivere al veronese ma il problema rimarrebbe solo suo e di chi lo acquisti.
E come sempre, un saluto a tutti e un abbraccio ai pochi!
Ottobre 2024
Signora C. Bernardi Vigevano da Palermo, i suoi lustri cinquecenteschi eugubini acquistati a caro prezzo 60 anni fa da suo padre, ad occhio mi sembrerebbero prodotti della Ginori del periodo in cui la famosa casa si mise a fabbricare e riprodurre antichi manufatti: dai lustri alle antiche statuine, dai vasi rinascimentali ai Capodimonte e altro (nessuno ne scrive e tutti lo ignorano o fanno finta) che a volte marcava con qualche suo simbolo: punti “G” o altro, e a volte le stesse maestranze “amavano” acquistare loro stesse i pezzi e chissà perché. Ma il commissionario facente funzioni direttrici era allora il famigerato Giovanni Freppa (1795-1870) (già indagato a Londra per imbrogli e raggiri bancari come truffatore e falsario) detto “il napoletano”, poi rigeneratosi nella metà dell’Ottocento come antiquario a Firenze, e che fu al centro di un grosso caso giudiziario il famoso”scandalo Freppa”. Naturalmente il manigoldo rifilò per autentici antichi centinaia di vasi, busti, statue, statuine e porcellane varie che ancora adesso creano problemi seri a tanti collezionisti, periti e amatori.
Signora, la esorto a far visionare i suoi pezzi dal vero e magari, senza spendere soldi in consulti (giacché sono pochissimi in Italia a capirne) presso qualche casa d’asta importante che se non altro ha il polso della situazione mercantile e la convenienza. Non pubblico come richiesto i suoi grandi piatti a lustro che, falsi che siano, sono veramente belli!
Mi scrive la signora Daniela De Rosa a cui da bambina regalarono un pianoforte giocattolo: Petit Piano Michelsonne. La ditta francese, fondata da Victor Michel nel 1911, progettò l’oggetto con l’idea di creare un vero e proprio strumento propedeutico allo studio, con accordo a 440 Hz simile al suono degli strumenti veri. Chiusa la fabbrica nel 1970 per un incendio che la distrusse, il proprietario Michel ne vendette brevetti e diritto all’italiana Bontempi che per alcuni anni ne continuò la produzione. Gentile signora, il suo pianoforte giocattolo a 13 tasti, 12 tonalità principali + una muta o superiore all’ultima, risale ai primi anni 60. Purtroppo la mancanza di un tasto ne pregiudica il valore e nonostante appaia in ottimo stato penso non possa valere più di 70 euro.
Per chi lo desidera, ulteriori informazioni si possono trovare nel bel libro “La merveilleuse histoire du petit piano Michelsonne”, scritto dalla figlia dell’inventore Lynda Michel.
Signor Stefano Lotito, il suo Batik (immagini su tessuti trattati con la cera, stampati con timbri o vere e proprie pitture) di 160 cm x 120 è un bell’esemplare ad occhio, ma non è possibile datarlo e controllarne colori e loro origine (sintetica-vegetale ecc) che poterebbero poi ad assegnarne un valore, anche indicativo. E così scrivendo, rispondo anche alla signora Luciana Pera e al signor Claudio Raverdoli che mesi or sono mi hanno chiesto in proposito. In rete poi, come si potrà vedere, offrono varie tipologie di questi prodotti che vanno dalle poche decine di euro alle migliaia. In più, mi risulta che la loro vendita, in ragione delle stampe su stoffa di qualsiasi tipo che dai paesi di origine hanno invaso il mercato mondiale giacché la tecnica, quella artigianale, è stata dichiarata patrimonio dell’Unesco e incentivata, è alquanto laboriosa e difficile.
La mia – mi permetto – gentile lettrice Francesca Zanolli manda in visione dei quadri a firma di tali Bragaglia e Lina Rossi, naturalmente autori sconosciuti. Signora ne ho scritto a josa, questo genere di opere sono prodotti di mestieranti decoratori che, usando nomi d’invenzione vari, lavoravano per mobilieri degli anni 50-80 i quali li regalavano poi in abbinamento alla loro mobilia, oppure sono opere realizzate per i negozi di regali e per corniciai stessi che in cambio fornivano gli autori di nuove cornici. Il valore artistico è nullo. Nei mercatini e nei negozi di vendita conto terzi li offrono tra i 30 ed i 60 euro, e ciò nonostante le loro cornici, a farle fare oggi, costerebbero più di così.
Signor Pietro Savarino da Torino, la sua bella teiera Sadler con rifiniture in oro zecchino (cm 24×11, altezza16) è un prodotto della James Sadler & Sons Ltd degli anni 50-60, azienda fondata dal James padre nel 1882 a Burslem, pioniere e maggior fabbricante di teiere del Regno Unito, morto nel 1955. La ditta continuò l’attività sino al 2000, anno in cui chiuse e fu acquistata nei brevetti e modelli dalla Churcill China, azienda specializzata nella ceramica-porcellana di accoglienza e ristorazione. Questa, e qui il problema, a scopo collezionistico e non troppo limpido, continuò a marchiare i pezzi della sua produzione con i vecchi marchi e stampi della Sadler (specialmente le famose teiere con il motivo “blue willow” ricercatissime), pare sino al 2021. Il mercato così è stato naturalmente scombussolato e le teiere Sadler hanno subito un crollo: si vendevano vent’anni fa sui 500 euro ed invece ora devono accontentarsi dei 100/150 euro, e tanto vale oggi la sua. Solo i modelli particolari azzardano prezzi superiori, ma a quel che mi risulta con scarsi risultati di vendita.
Il signor Vincenzo Moschetti da Napoli manda in visione dei mobili che nel mercato oramai non trovano più valutazioni fisse e certe per tipologia ed epoca, ma che vengono venduti a seconda di chi vende e di chi compra e per mero piacere personale arredativo. Il primo mobile è un tavolo da gioco degli anni 40 del ‘900 (h cm 77, diametro cm 100, base cm 53) molto bello, con laccature, marmi, scagliola pantografata (?) con personaggi incisi nel piano, un mobile, suggerirei, da 1.200 euro, ma che il brutto mercato odierno sentenzia di valore molto minore per tali tipologie: 400/600 euro.
Il secondo mobile è un tavolino “sorrentino” (h cm 47x47x81), impellicciato in legni vari e intarsiato con scena di tarantella napoletana. Pezzo molto bello, epoca 900, mi pare ben conservato. Tali tipologie hanno ancora collezionisti ma sempre meno, e sempre meno propensi all’esborso di denaro anche di fronte alle cose belle. A mio parere, vale sugli 800 euro, ma il maldisposto mercato lo situerebbe tra i 400 e i 600 euro.
Signor Fabrizio Spinoso il suo “ninnolo” pianoforte da tavolo, in ottone brunito e dorato con inserti in malachite, pur avendo cura e leggiadria non è più appetibile dal mercato (come d’altronde le porcellane simili e financo le statuine di livello) e quindi dal gusto e dalla cultura dei molti. Il valore dell’oggetto è determinato dal piacere del decoro casalingo e varia da persona a persona. Fosse in argento sarebbe determinato dal suo peso in metallo più un terzo; fosse in ottone o lega zincata similiare, così come appare, azzarderei sui 120/150 euro. Probabilmente sarà stato pagato nel negozio anche quattro volte tanto!
La signora Elena Mariotti mi chiede di esaminare una litografia tiratura 31/60 (ma a lei hanno detto trattarsi di serigrafia) come dal Catalogo Ragionato dell’opera grafica di Giorgio De Chirico1969-1971, Edizioni Bora – Bologna, pag 131 n. 110, in cui viene riportata: litografia “Castore e Polluce” (il cavallo) misure (che la signora non invia) 52,5×70 cm, Edizioni Bora, tiratura di 60 esemplari in numeri arabi, XXV romani, 10 H.C. (fuori commercio) e 12 prove d’artista. Nella sua richiesta, signora , lei non ha accluso la dichiarazione di autenticità dovuta da chi ha venduto l’opera, sia l’editore, sia altro venditore, ai sensi specifici della legge n. 633 22-4-41. Tali litografie, chiamiamole edizioni dell’artista, non godono affatto di credito sul mercato e vengono vendute o piuttosto proposte, e variegatamente, dai 500 ai 2.000 euro, ma le assicuro senza esito alcuno. Asta Pananti, Firenze 2014: 500-700 euro, invenduta; Asta Pirone, Roma 2023: 200-350 aggiudicata a 200 euro. I valori sono quindi bassi e tra l’altro non rappresentano quotazioni certe di mercato, senza considerare poi – e per questo le chiedevo perlomeno una sommaria dichiarazione di autenticità – i falsi “a pacchi” prodotti dall’industria della stampa con macchinari che nulla hanno a che fare con l’antica litografia ma che la riproducono fedelmente – e anche meglio. In finis quindi la sua lito ha un valore arredativo tra i 120 e i 160 euro. Trovando l’acquirente poi, potrebbe anche azzardare 200/250, ma con cautela e incerto risultato.
Signora Licia Scaltritti, il suo quadro (cm 105×88) riflette certamente una scuola non italica, del nord Europa o forse austriaca. Ma anch’io, senza preamboli, le devo dire che è una brutta opera dipinta da pittore seriale di ritrattistica familiare e borghese. Tali manufatti hanno valori bassi, sui 400/500 euro, e sono acquistati da coloro che vogliono far credere di avere antenati titolati o comunque abbienti tali da farsi raffigurare.
Rosa Baccillieri manda la foto di un busto di donna in ebano, di artigianato africano (cm 15×37 h x13). Il reperto, signora, non ha le caratteristiche di autenticità di un gruppo etnico che lo abbia scolpito ed utilizzato per rituali religiosi ed apotropaici, è quindi prodotto realizzato per essere venduto e in tal senso può ragguagliarsi l’ipotesi di oggetto d’arredamento. Non scomoderemo a tal guisa il nostro esperto precipuo di cui mi avvalgo per l’arte africana: il dottor Bruno Albertino di Torino, grande conoscitore e collezionista insieme alla moglie dottoressa Anna Alberghina. Il mercato offre tali oggetti a somme che vanno dal centinaio di euro ai trecento; il suo per l’altezza, e posto che sia in ebano, come lei afferma, e non un’imitazione in legno tinto (e ve ne sono, giacché l’ebano è pianta rara e durissima e ardua è la sua lavorazione) potrebbe per l’altezza valere sui 500/700 euro.
Signor Luigi Di Benedetto, circa le sue due opere: la prima è di artista sconosciuto (cm 28×39) e non riflette purtroppo alcun canone artistico di valutazione monetale; la seconda – una tavola (cm 55×70) raffigurante una Madonna odigitria (colei che conduce, che indica la via) di stilema russo ortodosso – non è di grande esecuzione ed è inusuale nel formato. Purtroppo, non potendone verificare la vetustà in seguito ai colori impressi, e non essendo io esperto precipuo della materia, devo assegnarle, nelle condizioni non ottimali di stato e per l’atipicità, un valore di 300/400 euro come pezzo del Novecento inoltrato.
Signor Stefano Sella il suo piatto acquistato da un antiquario nel 1988 riporta un marchio che neanche io sono riuscito a identificare. È naturalmente mera curiosità, giacché il piatto non suscita né per esecuzione né per altro un interesse per l’antico o per il collezionismo. A lei è comunque piaciuto e lo pubblico nella speranza che qualche attento lettore o conoscitore ne sappia dirimere origine e autore.
Signora Elena Colli affezionata e gentile lettrice, la sua statuina (senza misure!) degli anni 30-40 in ceramica policroma è certamente di ditta epigona della Lenci, ma non sono stato in grado di identificare il non felice marchio incusso nella pasta sul basamento della stessa. Il valore di tali manufatti non identificabili è, anche per i piccoli difetti dell’oggetto, tra i 250 e i 300 euro.
Signora Anna Selmi da Cinisello Balsamo (MI), la ragguaglio: la rubrica di expertise che curo da oltre trent’anni – sino al 2017 in cartaceo e poi online – è gratuita. Cosa significa ciò? Significa che la proprietà della rivista decise di fornire e continua a fornire – certo nell’ottica della sua economia aziendale – un servizio ai suoi lettori, e che magari, non trovando alcun altro esperto disposto o trovandolo ma non essendo idoneo alla bisogna specifica, continua a darmi fiducia. Sono come detto ad libitum un esperto tuttologo e non mi arrogo alcuna pretesa di essere né infallibile né conoscitore di tutto lo scibile nel campo dell’antico o dell’arte; in più, è qui viene il bello, espertizzo da sole immagini! Cosa mi si potrà mai imputare: di essere non solo un perito di carta ma anche un po’ asino? Eh sì! …e certamente! …altrimenti non continuerei da anni ad arrabattarmi con fior di lettori e anche con lei che mi imputa “di prendere un sacco di soldi ed espertizzare solo quello che le fa comodo e conosce” sic.
E cosa vuole che risponda su ciò che ignoro? Lei mi ha mandato più volte in visione una tela di un certo Michelangelo Merisi, che ho saputo chiamino anche Caravaggio, io sinceramente neanche so chi sia, pensi un po’!
E come sempre, un saluto a tutti e un abbraccio ai pochi!
Settembre 2024
Signor Giuseppe Giorgi di Bologna, lei immagina di riferire l’opera inviata in cattive immagini: “David” (cm 110×95), a Vincenzo Dandini (1609-1675), uno dei maggiori esponenti della famiglia omonima fiorentina di pittori dell’epoca. Innanzitutto, per confermare appieno tale ipotesi il quadro avrebbe bisogno di una visura dal vero affinché si possano cogliere tutti quegli elementi specifici espressi dalla tela, dai colori, dal craquelere; dalla visura sommaria per foto, però, posso dirle che tenderei ad escludere tale appartenenza basandomi sulla rigidità plastica, la mancanza di dinamica e movimento nel volto e persino nel panneggio del vestiario, nonché in quell’errore di “trascrizione pittorica” di un’elsa gigantesca. In secondo luogo, noterà l’accorgimento tecnico della mano nascosta non tipica né idonea ad un artista che faceva della raffigurazione degli arti umani una delle sue connotazioni precipue, ed in un’opera così grande poi. Tenderei pertanto ad ascriverlo a bottega non vicina all’artista e a valutarlo – per le dimensioni arredative – sui 1.500/2.500 euro. E ciò non potendomi esprimere in alcun modo sulla sua reale epoca.
La signora Maria Belli manda in visione un servizio da 12 (nella foto io vedo solo 6 tazzine con piattini, zuccheriera, lattiera e teiera o caffettiera) della Al-KA Baviera. Un po’ di storia per guadagnarmi lo stipendio è d’uopo che la narri. La Porzellanfabrik Al-Ka Kunst Alboth & Kaiser fu fondata nella città bavarese di Coburg nel 1872 da August Alboth. Per discendenti e matrimoni si arrivò al 1927 quando il banchiere Kaiser sposò una nipote di August e fu rifondata dalle iniziali dei cognomi la Al-Ka. La fabbrica, trasferita nel 1953 nella città di Staffelstein e sempre nella Baviera un anno dopo fu spostata ad Hausen e nel 1955 a Kronach. In seguito si ebbero altre trasformazioni e acquisizioni sino al 2000 – 2007 quando, già snaturata, divenne proprietà di gruppi internazionali del settore. Il marchio del suo servizio, signora Maria, è ascrivibile all’attività aziendale tra il 1938 e il 1956, e si può facilmente individuare nel 1941 la sua fabbricazione dalla data sotto impressa nel timbro. Il valore per un servizio intonso da 12 potrebbe essere tra i 250 e i 350 euro come stima, ma nel mercato purtroppo tali cifre vengono ridotte alla metà e meno. Lo inserzioni in rete, sperando di ben pescare ancora amanti della buona porcellana di una volta, lontani dalle pacchianerie cinesi.
Signora Danila De Pieri – che nonostante le cattive immagini inviate (ma con cosa ha fotografato… con un tostapane?) non redarguisco per quel suo “adorare” la mia rubrica – credo che il suo vaso appartenga realmente alla Maison Giorgio Armani, sia per il marchio sia per l’interessante decoro probabilmente prodotto negli anni 90. Il prezzo non è elevato: sui 150/200 euro secondo condizioni.
La signora Bruna Stimpfl pone alla mia attenzione un servizio della Porzellanfabrik Heinrich Winterling GmbH &Co.KG (1903-2009) di Heinrich Winterling, appartenente alla stessa famiglia dei sette fratelli fondatori a Roslau, in Baviera, della manifattura Gebruder Winterling OHG; separate, quindi, le industrie, ma stranamente con marchi poi simili specialmente dopo gli anni 50. La prima, a differenza della seconda, non ha una storia da narrare perché a loro detta gli archivi si bruciarono a causa di un incendio negli anni 90. Fortunatamente, signora Bruna, il marchio del suo servizio di 12 piatti (da 41 pezzi) ha la stampigliatura del Comune tedesco ove la stessa operava sempre in Baviera: Marktleuthen, e corrisponde agli anni 70, come anche indicato da lei. Il valore sul mercato purtroppo, pur trattandosi di prodotti elevati per materiale e fattura, non è eccessivo, anche per la tipologia seriale e comune dei decori. In rete li propongono tra i 400 ed i 700 euro ma le reali vendite avvengono sui 250/350 euro.
La signora Cristina mi pone due quesiti. Inizierò con la bottiglia di cristallo o similare (25 cm) che è incisa con un vibratore ed ha una firma seriale di nessun conto. Valore: poche decine di euro per gli amanti di certe cose.
Diverso il discorso per la cabina di ceramica, oggetto che racconta una storia. L’architetto designer professore universitario Aldo Rossi (1931-1997) nel 1980 presentò al Salone del Mobile nazionale un armadio in legno laccato denominato “Cabina dell’Elba” con l’atelier Longoni di Cantù, e più tardi iniziò una collaborazione con la Molteni & C. a detta produzione che peraltro non fu estesa. Il mobile, che nel suo aspetto esteriore si presenta come una cabina da spiaggia, nacque dalla sua idea di portare l’architettura esterna all’interno delle abitazioni, una visione creativa che darà luogo alla realizzazione anche di altre tipologie: la famosa “Cupola” italica per una caffettiera, ad esempio, e così via. Negli anni 70 l’incontro con Maurizio Casigliani – Arredamenti portò l’architetto a riproporre la cabina spiaggia come scatola in ceramica. Il problema e che non essendo la Casigliani una ditta ceramica, l’oggetto non era venduto singolarmente ma era in abbinamento regalo a dei moduli abitativi e quindi non se ne conosce né la quantità prodotta né il suo conseguente valore. Riferendomi alla rete, ho visto proposte due cabine intorno ai 400/500 euro cadauna e penso, se autentiche, che questo possa essere il loro valore in quanto ceramiche storiche di design.
Mi scrive l’architetto Franco Emilio Missadin che posso senz’altro definire un signore d’altri tempi per lo stile garbato e l’interessante narrazione degli oggetti che mi propone, appartenuti alla sua bella, colta e interessante famiglia. Ed iniziamo la disamina con una breve introduzione, sunto, come detto, di un racconto negli anni. Egli mi propone infatti un servizio da caffè appartenuto all’attore americano Errol Flynn famoso negli anni 30-50 internazionalmente, personaggio che dal successo finì poi esule in miseria. I genitori dell’architetto acquistarono in un’asta ad Hollywood cose a lui appartenute, e sin qui tutto bene. Sono un po’ trasalito, però, quando ho letto l’attribuzione di “marchio ferdinandeo” al servizio (sic.): un servizio da 6 pezzi settecentesco mi sembrava cosa inconsueta che non avevo mai né sentito né tanto meno visto! E alla visura delle immagini finalmente ho compreso l’errore operato certamente dai Missadin: l’aver creduto che un personaggio famoso e danaroso avesse collezionato pezzi importanti ed il non avere alcuna contezza dei reperti ferdinandei né tanto meno della ceramica in genere. Il servizio è infatti subitaneamente riconducibile alla copiatura evidente di uno stile antico, ma null’altro ha, neanche il marchio, che possa in qualsiasi modo avvicinarlo a manufatti d’epoca.
Architetto, mi spiace darle tale notizia, d’altronde sono trent’anni che in questa rubrica (sino al 2017 cartacea e poi in rete) ribatto, e senza mezzi termini, che il marchio Capodimonte dopo la cessazione della famosa fabbrica borbonica al più nei primi dell’Ottocento, nel tempo è stato copiato da migliaia di fabbriche in tutto il mondo. Il suo servizio, al di là del fatto di essere connotato per gli stilemi espressi come prodotto degli anni 50-70 del ‘900, è nel marchio stesso che rivela la sua natura finale. Innanzitutto, il “made in Italy”, registrato dal 1926 in poi da alcune Camere di Commercio Italiane, si estese solamente intorno agli anni 50 nazionalmente (anche se l’ufficialità avvenne intorno agli anni 70-80), posto sotto la N coronata di prodotti come il suo creati da varie fabbriche vicentine – giacché le ditte napoletane che la facevano da padrone su tale produzione di “casa”, non avrebbero mai perso il loro primato apponendo la scritta nazionale – . Secondo poi, amaramente, debbo anche comunicarle che il valore del suo servizio, se intonso e perfetto, potrebbe assumersi intorno ai 100 euro, ma li vendono nei mercatini anche a meno.
Signor Ernesto, il rinvenimento fortuito o meno di un’opera di un maestro celeberrimo e costosissimo come Giorgio Morandi (1890-1964), senza documentazione, provenienza storica ed expertise non vale nulla! Le riproduzioni di arte moderna sono alla portata di molti e figuriamoci come io possa – e da semplice immagine – proferire alcunché. Ma anche se esaminassi il quadro di persona in realtà non potrei anteporre il mio “meschino” giudizio alla valutazione del Centro Studi Giorgio Morandi, in Via Casaglia 34 – 40135 Bologna e al suo Catalogo Generale Ragionato incaricato, per volontà della di lui erede figlia, di adempiere a tutti i procedimenti di legge sulle identificazioni. Pensi che in questo mese ho svolto per un cliente inglese un’expertise sul Maestro concernente lo studio di una corposa documentazione abbinata ad una sua opera, e solo su quella, non sulla paternità certa o meno dell’opera, che richiederebbe competenze che non ho e tanto meno sono in possesso di autorizzazioni valide a tale bisogna.
Signor Simone Tritto da Milano, lei vorrebbe sapere da me, ed io da lei: come mai è entrato a far parte di quel sodalizio di lettori (confessatelo siete organizzati: avete un presidente, degli organi collegiali e dei soci) che hanno deciso – per complicargli la vita – di non mandare le MISURE degli oggetti da valutare all’esimio esperto, di carta per di più? Si confessi al suo padre spirituale, si proponga di non farlo più ed io la perdono. Comunque, lei possiede, lascito di sua madre, una bellissima sculturina in porcellana della ditta austriaca Goldscheider, fondata nel 1885 da Friedrich Goldscheider con la collaborazione del fratello Walter, manifattura che divenne intorno al ‘900 la più prestigiosa dell’Austria con filiali in tutto il mondo. Con l’avvento del nazismo i fratelli Goldscheider dovettero, a causa delle loro origini ebraiche, espatriare prima nel Regno Unito e poi in America. Tornarono negli anni 50 ma la vecchia ditta – semi nazionalizzata – era oramai fallita ed anche loro cedettero il marchio che però non tornerà più in auge. I fratelli morirono negli anni 60. La sua bambina con lo Spaniel è di una leggerezza e soavità propria della grande manifattura degli anni 30. Leggo una firma che dovrebbe essere quella di Demétre Chiparus (1886-1947) scultore rumeno che lavorò e ideò per la ditta, ma non ne sono certo. Il suo valore è comunque sopra i 1.000 euro (la mancanza di misure precipue non mi consente valutazione più precisa).
La signora Paola Rota con due quesiti. Il primo: una scultura “di un metro” (altezza, lunghezza?) che asserisce essere dell’artista Angelo Barcella (1934) che opera, operava (?) nel legno multistrato laccato. Signora, l’artista non ha sul mercato quotazioni di rilievo e consolidate, le poche aste stimano cose come la sua sui 2/3 mila euro, ma con pochissime aggiudicazioni. In merito al secondo quesito riguardante il bronzetto mal fotografato, rotto e senza misure, non posso dirle alcunché.
Signora Lucia Pesca, il pittore Maximilian Von Fichard (1836-1922) ha discrete quotazioni solo per le marine, per il resto non trova grandi acquirenti. La sua opera (cm 110×140) con alberi e cappelletta non è certo appetibile a meno che non venga identificato il luogo e ivi proposta. Dovendo fare una valutazione di massima azzardo, per le misure, sugli 800/1.200 euro.
Elena Bettarello da Rovigo manda in visione una campanina (14,5 H) della prestigiosa De Poli, una delle fonderie più antiche d’Italia fondata a Vittorio Veneto nel 1453. Signora, da foto, ed essendo privo di patine del tempo, anche se penso possa essere pezzo fine ‘800 primi ‘900 non sono in grado di determinare appieno il valore che, indicativamente, stimerei in 250/300 euro. Le invio quindi per un dettagliato riscontro i riferimenti di contatto con la magistrale fonderia: info@fonderiadepoli.it – 3489228773.
L’affezionato lettore signor Molin invia due quadri del pittore Guido Gnocchi (1893-1969) che purtroppo hanno sul mercato quotazioni basse in ragione dei soggetti espressi: alberi nel bosco. Pur nelle loro dimensioni (cm 100×80), essi non vanno oltre i 350 euro cadauno. Le vedute ampie e le marine dello stesso pittore assumono quotazioni più rilevanti.
E come sempre, un saluto a tutti e un abbraccio ai pochi!
Luglio/Agosto 2024
La dottoressa Laura De Properzi da Ciampino (RM) manda una serie di reliquie di vari santi di epoca ottocentesca in cattive ed impubblicabili immagini, che già dalla vista delle teche-contenitori (addirittura eguali), denotano la loro dubbia origine. Sicuramente la dottoressa le ha acquistate in rete dove deambulano dei veri e propri professionisti delle reliquie false (che ostentano particelle di ossa, vesti, sangue, terre, legni o presunti tali in quantità minimesimali) di beati, di santi e addirittura di cristi e di madonne, poste in teche-contenitori che sono copie tra loro. Ebbene, in mezzo secolo di studi patristici e curatore di chiese e musei ecclesiali non ho mai – e dico mai! – visto un contenitore di reliquia eguale ad altro con venerati diversi di epoche anteriori il XX secolo. Allora, il consiglio a lei Laura e ai fedeli lettori è di non comprare reliquie né in rete né altrove se non ne capite abbastanza. Inoltre, e rispondendo al suo altro quesito: le sole certificazioni scritte e redatte (senza bolle plumbee o in metallo) delle reliquie ordinarie (ma senza reliquia) non costano sui 1.000 euro l’una (cifra raggiungibile solo da “grandi santi particolari” (tipo S. Francesco d’Assisi o santi papi antichi) come dettole dal solito “antiquariuciuccio” o scaltro individuo tale qualificatosi, ma ordinariamente sui 50/100 euro.
Signora Elena Colli, i suoi quadretti a firma Rech sono stati eseguiti da uno di quei decoratori sconosciuti da “fiera e mercato” che – e lo scrivo da decenni – lavoravano per conto di quei mobilieri che accompagnavano in omaggio alle loro vendite dette opere, oppure sono quadri realizzati per negozi di corniciai o regali per la casa. Dagli anni 50 fino agli 80 e anche 90 del ‘900, questi decoratori hanno imperversato in Italia con opere per la maggior parte prive dei canoni artistici pur a volte non mancanti di una certa leziosità e piacevolezza, ma certo per arredamenti sommari e/o seconde case “a rischio furto”. Naturalmente, esse non hanno valore che di poche decine di euro cornici comprese, da mercatini.
Il signor Piero Molin Pradel manda foto di una coppia di sedie (h 92 cm) della fine dell’Ottocento. Dalle cattive immagini non si evince chiaramente se siano in stile Luigi Filippo – prodotte da fabbriche sorrentine se ad intarsi – o se siano state realizzate in aree piemontesi o venete, se lumeggiate e dipinte ad oro matto. In ambedue i casi, per il loro buon stato di conservazione valutato solo dalle immagini, valgono sui 300/400 la coppia.
La tela (cm 60×80) a firma Guido Gnocchi (1917) acquistata, credo, a caro prezzo nel 1965, oggi purtroppo, gentile lettore, ha una quotazione sui 150 euro (grazie alla leziosa cornice di accompagno).
Signora Anna Ragghianti, la firma L. Accarisi (Ludovico Accarisi, nato nel 1867-68 da una famiglia di orafi – argentieri, suppostamente venuto a mancare nel ‘900 poiché non ho altre notizie certe) non mi convince con l’abbinamento al tratto disinvolto e poco curato dell’opera presentatami, nonostante, e con lei concordo, essa abbia un che di piacevole e di pregio. L’Accarisi era pittore di vecchia scuola ritrattista e attento e “fotografico” dei particolari, cosa che non si evince nel suo dipinto che, anzi, sembra un veloce bozzetto per opera ulteriore. Neanche ho prontuari che me ne indichino la verosimiglianza della firma o artista diverso da abbinare. Naturalmente, non stiamo parlando di valori economici ma solamente estetici e personali.
Professor Giovanni Catena, mi spiace che lei abbia inteso la mia risposta personale “inadeguata” e financo “offensiva”, e le voglio fare pubblicamente le dovute scuse se a lei tale è apparsa.
Il dipinto ad olio del suo amico Carlos, che non pubblico come richiesto, aveva suscitato le mie perplessità nonostante la datazione apposta sul frontale della tela, per via della visura della sua trama visibile al retro che rivelava una tessitura con telaio meccanico dell’Ottocento inoltrato e novecentesco.
Lei – esimio (nel senso antico del termine) professore d’arte di Istituto secondario e, ci mancherebbe, degno di ogni stima per il suo gravoso e benemerito impegno che io non mi sono mai neanche sognato di svilire e offendere – aveva ipotizzato che fosse opera del Francesco Colussi, pittore di Ospedaletto-Gemona (UD) operante nella Carnia e nel Cividalese tra il 1774 ed il 1801, a cui invece secondo me non corrispondeva la stesura pittorica veloce e “mestierante” espressa nella tela.
Inoltre, mi permetta una piccola dissertazione sulla firma “An.as F.C ad sim.a 1789” che, a mio avviso, esprime appieno quel “F.C” usato per “Faciendum Curaviti (ovvero Fece Fare) e quindi “Andreas (committente) fece fare “ad similia” (come simile ad altro dipinto del 1789). Naturalmente la mia è un’ipotesi basata su altre analoghe firme pittoriche visionate in oltre mezzo secolo, ma sempre suscettibile di errore. Spero di essermi spiegato e, ripeto, da esperto di carta o cartone – se si vuole – qual sono.
Signora Vanessa Guarnera, il suo contenitore intarsiato per liquori (cm 30x30x25) con relative 4 bottiglie e 12 bicchierini in cristallo degli anni 70-80 del ‘900 vale solo sotto il profilo arredativo, poiché il suo uso è prescritto nei tempi e il cristallo oggi lo “regalano” anche i cinesi. Valore 150/200 euro, per darle un riferimento sommario.
Signora Magda Moro, interessante la sua cornice con attestazione del Sacro Ordine Militare della Mercede fondato da Pietro Nolasco nel XIII secolo e avente per scopo la liberazione, l’affrancazione e la redenzione degli schiavi dei mussulmani. Decaduta la schiavitù l’Ordine ha avuto varie vicissitudini su cui non posso, per motivi di spazio e tempo, qui discettare. Le posso solo fornire per ulteriori informazioni l’indirizzo romano dell’Ordine che è in Via Carmelo n.3 ma che non fornisce altri contatti. V’è però la chiesa – parrocchia postulante l’Ordine in Roma a S. Maria della Mercede e Sant’Adriano, via Basento 100 – 00198 Roma, tel 06-8554648 – 8840353, cui potrebbe rivolgersi.
Circa il suo attestato con cornice in lamierino di rame o argento (cm 77×90), le impossibili da decifrare foto inviate non mi consentono altro se non di stabilirne il valore collezionistico che per simili attestati ottocento-novecenteschi è di 250/400 euro.
La signora Barbara invia una “stampa” (cm 40,5×50,5) in offset ,un procedimento di stampa ove la matrice – in alluminio – non inchiostra la carta ma un supporto di caucciù che a sua volta inchiostra la carta o il materiale in cui si intende depositare. Parlo di “stampa” e non di litografia, come furbescamente scrivono gli aventi diritto a stampare tali opere, perché le litografie per avere senso e valore dovrebbero riportare una tiratura dichiarata che le offset non hanno. La sua opera – originale, lei scrive – di Picasso è un prodotto editoriale di migliaia(?) di copie che ha valore solo quando la si compra convinti di avere fatto un investimento, e così non è! Come potrà appurare anche in rete le offrono a 50/100 euro e non consiglio ad alcuno di comprarle.
Il signor Edoardo pone alla mia attenzione una caraffa – lui scrive – ereditata dal nonno, che ha il vago sentore di una olpe greco-etrusca. Naturalmente, è per me una copia e niente affatto un reperto archeologico che avrebbe bisogno di una notifica alla Sovrintendenza dei Beni culturali per poter essere detenuto e un mio allertare gli organi preposti per tale domanda ricevuta. Il suo valore è quindi quello modesto di una copia. Fosse autentica la valuterei – beh! non proprio io ma l’art. 91 del Lgs 42-2004 – con una reclusione sino a 3 anni ed euro 516,50 di multa. Eh… lo so! sono quei 50 centesimi finali che disturbano un po’.
Il signor Gianluca Destro manda in visione una cornice ovale (cm 86×73) in legno dorato e pastiglia di produzione seriale degli anni 50-70 del ‘900. Nello stato in cui la vedo, valore sui 250 euro.
Signora Claudia Cardia, il suo arazzo sardo in lana (cm 202×73,20) ha una valutazione attuale di mercato di 300/350 euro. I mobili in stile purtroppo, seppur in castagno massello: il tavolo (cm 246×79) e la credenza (cm 237×45), non valgono che sui 300/400 euro cadauno e a comprarli invece saranno costati certamente una discreta cifra. Purtroppo è questo oggigiorno il mercato!
Signor Federico Buzzati, innanzitutto le dico che posso darle solo un giudizio sommario. Lei spedisce due opere senza particolari e senza la visione del retro (tela e telaio) ed io posso unicamente parlare del figurativo presentatomi. La prima, un bozzetto senz’altro italiano (cm 24×40) del 600-700, valore tra i 600 e gli 800 euro; la seconda (cm 68×82) scuola emiliana – fiorentina (?), epoca non accertabile dalla foto, forse 700 fine, forse sui 2.500/3.500 euro.
L’affezionato lettore Roberto Contisciani presenta alla mia attenzione 6 tazze e relativi piatti in stile Satsuma, quindi del Giappone (scritta: Dai Nihon Satou), con timbro spurio non identificato. Valore sugli 80/120 euro per il buon livello decorativo.
Signor Alessandro, le pessime foto inviate non mi consentono che un giudizio di “primo acchito”. I suoi vasi sono eclettici di area non italiana, forse francesi, forse dei primi del 900. Purtroppo tali tipologie non sono affatto richieste dal mercato. Valore, per la grandezza e solo a livello d’arredamento, sui 300 euro la coppia.
Signori tutti, per spazio e prassi lavorativa, non posso occuparmi di expertise che richiedono prolungati studi e ricerche. Il rispondere a decine e decine di quesiti, sia pur risolti in maggioranza in email private, richiede ore ed ore di impegno, e più di tanto non posso. Grazie
E come sempre, un saluto a tutti e un abbraccio ai pochi!
Giugno 2024
L’attento e fedele lettore Giuseppe Rigolli mi manda delle gouache del Francesco Guardi (1712-1793), insigne pittore veneziano; egli ipotizza siano autentiche benché abbia ricevuto da un suo amico collezionista e professore d’arte un diniego netto a tale conclusione affermando – giustamente – come le opere, essendo propriamente “delle chine acquarellate”, avrebbero dovuto ed essere eseguite su carta “straccia” e “vergellata”. L’uso della pergamena ha poi come indispensabile supporto la carta pesante per aderire, rimanere tesa e non arrotolarsi, e ciò non mi pare risponda ai requisiti delle sue opere che mi sembrano apposte su carta “lucida spessa” ad imitazione della pergamena e propria degli anni 50 -70 del 900. Detto ciò e con precauzione, in quanto potrei valutare con un solo colpo d’occhio la materia di cui si parla… ma dal vivo e certamente non da foto, debbo portarla sul piano figurativo intrinseco e sulla tecnica del pervenutomi. I suoi disegni hanno infatti la mano – veloce – di un bel mestierante che ha una conoscenza e del Guardi e della sua scansione pittorica, ma non è lui! Il tratto è diviso, a piccole curve e sommario nell’esecuzione, apparendo nell’insieme piatto; l’esecutore non ha pause né tentennamenti, opera con padronanza del mezzo in ottima maniera e tanto più trattandosi di materia ostica come l’inchiostro e l’acqua. Plauso… ma da copiatore seriale per gallerie “turistiche”! Insieme a quanto da lei inviato, pubblico un “acquarello a seppia” del Guardi quale esempio; noterà la continuità del disegno statico ma scansionato dal panneggio pittorico in un continuo movimento.
Ed in finis: proprio delle riproduzioni non certamente fatte a trarre in inganno gli specialisti, sono l’apposizione di timbri o pseudo tali. Nel suo addirittura v’è tutto il contorno fatto con un tappo o con un tubo, nitidissimo e a rilievo, senza che all’interno vi sia una sola scritta! E da investigatore mi chiedo: come mai? Ed inoltre sulle pergamene difficilmente possono essere incisi dei timbri “a secco”. Pur bagnandola e usando una pressa, con il tempo ed essendo una pelle animale e colloide il relativo si ridistenderebbe sparendo. Ed infatti le pergamene hanno timbri a fuoco o con ceralacche.
Un preparato collezionista, il signor Carlo Crociatelli da Genova, manda in visione il dipinto di un artista conterraneo, l’eclettico e valente Nicola Neonato (1912-2006) che, come lui ben scrive, è stato anch’egli travolto da un mercato ormai “stravolto”. Mi vergogno quasi ad indicare per il suo olio (cm 40×60) una valutazione di 70/100 euro, ma d’altronde non è il povero (o ricco che sia) perito a determinare ciò ma il funesto mercato attuale.
Per quello che concerne le sculture in legno: non mi dicono nulla sotto il profilo artistico e né altrettanto dicono ai miei prontuari in cui non compare il nome dell’artista firmatario Nava.
Il signor Vincenzo Moschetti manda foto di un’opera (cm 36×26) con la scritta incisa in metallo (fuori tela sulla cornice) ed indicante H.C Camille Delpy (1842-1910) artista impressionista francese ma anche H.C ovvero in gergo tecnico: Horse Commerce ovvero fuori commercio, ovvero una stampa non in vendita in possesso dell’artista. Ma dalla visione dell’opera del signor Vincenzo non si evince per fattura l’appartenenza pittorica all’artista detto! Cos’altro dire da visione cartacea?
Circa l’altro quadretto (cm 24×17) con firma a me sconosciuta di arte moderna italiana del 900, anche qui non sono in grado di esprimere alcunché di valutativo.
Signora Carla famiglia Marchet, la sua credenza in lacca povera (cm 176x104x55) sembrerebbe dalle – mi permetta – non felici foto inviate un mobile di fine Settecento o provinciale dell’Ottocento inoltrato. Lei ha inviato particolari di zone amorfe del mobile e nessuna visione del mobile intero come si deve. Il valore potrebbe essere – non ha craquelure né patine di rilievo – intorno ai 1.000 euro. Ma è un giudizio sommario basato su ciò che ha inviato.
Il signor Alberto Rondalli manda in visione una bella pittura (cm 77×43) dell’attraente Vittoria Rosa Caldoni, l’immaginifica “vignarola” di Albano (RM), modella di innumerevoli artisti italiani e stranieri dell’Ottocento quando Roma era crocevia artistica del mondo. Il suo quesito su chi abbia dipinto la “bella castellana romana” è interessante e meriterebbe uno studio approfondito che purtroppo non ho potuto svolgere. Metterò comunque in archivio la bella immagine, chissà che non mi possa illuminare il continuo vagare tra opere d’arte. Il valore del dipinto, che poteva essere senz’altro più elevato, risente della mancanza della figura intera quasi l’autore avesse una bella mano per i volti e viceversa poca confidenza con i “corpi”, e ci sta: erano non pochi i pittori d’epoca specializzati, chi nei volti, chi nelle mani, chi nelle figure; tante opere venivano portate a termine anche da artisti di fama con l’aiuto di altri autori minori, oppure potrebbe essere che sia un bozzetto, una stesura inerente il volto per poi addivenire ad una sua interezza. E così siamo sui 2.500 euro, anche per l’enorme interesse, ancora, del mercato per la tradizione, la campagna e quant’altro romana di due secoli fa.
Signor Gianmarco Sciarra, la ringrazio per la stima e per essere mio assiduo lettore, il che mi onora, ma venendo all’opera inviatami, un cartone dipinto (cm 52×42) donatole da persona cara con firma non cognibile, devo purtroppo relazionarle che il suo donatore probabilmente è stato indotto in errore sulla valutazione dell’opera o dalla scarsa conoscenza in materia d’arte o da un mercato che negli anni 60-80 (a cui la ascriverei) assegnava a tanti – troppi – artisti quotazioni nell’ordine delle centinaia di migliaia di vecchie lire se non anche superanti il milione per figurazioni leziose magari di impatto arredativo come la sua ma carenti di quei canoni tali da farle assurgere ad opere d’arte. Mi spiace scriverle quindi, anche perché nello stato precario indicatomi, che il suo cartone dipinto non ha alcun valore.
Signora Sonia Pedretti, la Alexanderwerk è una fabbrica fondata in Germania nel 1885 a Remscheid nella Renania, ancora attiva. Produsse macchinette per la vita quotidiana e per le macellerie, ampliandosi poi ad altri accessori d’uso. Oggi li chiamiamo elettrodomestici da lavoro, allora erano oggetti manuali e meccanici con ingranaggi e manovelle. Il suo utensile è sicuramente, come lei ha scritto, un “taglia foglie di tabacco” molto arredativo e in più prodotto di una rinomata ditta: almeno 350 euro il suo valore.
Signora Enza Lucia Vaccaro, sino agli anni 80-90 del 900 tutte le ditte di ceramica-porcellana producenti servizi da tavola lavoravano oltreché industrialmente a caro prezzo anche per alberghi, transatlantici, ristoranti, istituti e privati di ogni genere, che espressamente li richiedevano con loro loghi e scritte sulle produzioni standard. Non faceva eccezione la SCI di Laveno che aveva nel suo fulgore migliaia di operai assunti. La sua ricerca sul piatto da lei in possesso – facente parte di un servizio di bordo di un cabinato Chris Craft americano di proprietà del principe Antonio De Curtis in arte Totò, leggenda della comicità italica – fu appunto ordinato alla società ceramica lombarda, ma il valore di tale superstite stoviglia è relegato e solo al suo passato proprietario che ha tanti e tanti collezionisti dei suoi cimeli. Ora, non risultano dalle mie ricerche – che contemplano bauli, cappelli, panciotti di scene, auto, tagliacarte – piatti di alcun genere da comparare, né saprei indicarle una minima base d’asta. Le consiglio di rivolgersi a gruppi di aficionados del Maestro o a case d’asta che ogni tanto – come la Bertolami di Roma lo scorso maggio – indicono sessioni con ricordi e cimeli di attori e personaggi.
Il signor Andrea Destro manda in visione alcune opere. La prima è un pezzo del 1974 di Ettore Consolazione (1941), artista che non gode di grande mercato, e che vale sui 120/150 euro. La seconda, una lito di Emilio Isgrò (1937), è di tale basso valore, sui 40/60 euro, da non consentire restauri, a meno che lui stesso, per divertimento e passione, non li operi in proprio. La terza, un’acquaforte o lito (cm 52×68) classica, vale poche decine di euro ai nostri giorni. In finis, non riesco a decifrare l’autore dell’interessante “vaso di fiori” del 1920 (cm 45×56), ma potrebbe valere sui 200/300 euro.
Signora Claudia Pisegna, il suo teodolite (misuratore di livellazioni, tracciamenti topografici con gli angoli azimutali e zenitali) non ha marchi di riferimento. Se funzionante, vale sui 350/400 euro.
La signora Lucia Pollini, fedele lettrice ma con l’inveterata abitudine di scrivere non mandando le misure per la valutazione dei suoi oggetti, non riceverà più responsi perdurando la sua ritrosia all’uopo. Rispondo alla valutazione di un’icona moderna priva di misure e di nessun valore, né artistico, né artigianale né economico anche l’avesse, per l’ultima volta.
Signora Annalucia Bigerni a cui sono “simpaticissimo quando mi arrabbio” (“annamo bene…”, si dice a Roma, …e io che mi impegno al contrario!), come ha intuito le sue miniature sono “crosticine”, opere di mestieranti illustratori degli anni 60-70 del 900 per sommari arredamenti e per le pur gradevoli cornici in legno intagliato e dorato. Naturalmente non si parla di valore alcuno.
E come sempre, un saluto a tutti e un abbraccio ai pochi!
Maggio 2024
Ebbene, è d’uopo ricordare ai lettori che l’esperto sottoscritto dà responsi e giudizi da SOLE IMMAGINI e non ha altri elementi se non le poche e quasi sempre scarne notizie che gli forniscono i richiedenti lettori.
Un esperto “vero” esamina de visu le cose: le tocca e soppesa, ne analizza il materiale, i colori, lo stato, e le sottopone – dovendo – anche ad analisi strumentali e di laboratorio prima di pronunciarsi in merito a vetustà, rarità, valutazioni.
Scrivermi: “altri esperti hanno valutato diversamente”, mi lascia nella più completa indifferenza! e per motivi semplici: a) io non sono gli altri, b) sono più preparati. E vi chiedo: ma se erano sì bravi perché vi siete rivolti a me? Non scherziamo… E se volete pareri che vi aggradino appieno parlatene e/o scrivetene a qualcun altro che pagando magari vi accontenterà.
Signora Maria Rosa E. da Genzano (RM), naturalmente svolgere la perizia ereditaria sì vasta e complessa che lei mi detta, esula dai miei compiti e mansioni d’ufficio e di carta attinenti la rubrica.
È un lavoro non semplice, gravoso e di rispondenza notoria e certificata, visto le non comuni vedute degli appartenenti all’asse ereditario. Potrei aderire all’incarico se tale mi fosse conferito unanimemente e/o previo accordo tra le parti che desiderano le mie valutazioni.
Il signor Roberto Bacco invia quesiti su due oggetti. Il primo è una maschera in bronzo firmata e numerata (cm 30x26x15) dello scultore Amedeo Sartori (1915-1962), copia, lui mi dice, di una analoga presente nel Museo Amleto e Donato Sartori ad Abano Terme. Trattasi quindi di multiplo dell’artista (V/5) che penso – in mancanza di quotazioni di mercato – possa valere intorno ai 500 euro (maschere in cuoio dello stesso autore hanno raggiunto in asta aggiudicazioni intorno ai 100 euro).
Il secondo è una bella teiera degli anni 40-50 della SCI di Laveno diretta allora dal valente designer, architetto e ceramista triestino Guido Andlovitz (1900-1971), il cui valore è intorno ai 120/150 euro.
Signor F.mex, secondo me il suo non è un vaso della Venini: bruzzoloso il “pontello”, e mi pare di vedere, dalle pur non eccelse foto, una bolla (una sola quindi un difetto) nella composizione. Ma non è che i vetri possano valutarsi con certezza per immagine, o almeno, non ne sono in grado io. Le fornisco i contatti con la maison Venini per ulteriori conferme: contact@venini.com o WhatsApp 39-0131929859 ore 9-13/14-18.
Il collezionista e mio lettore Roberto Desogus dalla bella città sarda “maremonti” di Quartu S. Elena che invito a visitare, mi propone questa volta due ceramiche. La prima è di Giuseppe Mazzotti (1865-1944) di Albisola detto il “bausin”, caposcuola e fondatore di prestigiose ditte coroplastiche di cui ho avuto modo di scrivere più estesamente sulla rubrica. Si tratta di un piatto a mezzo lustro di 35 cm che ascriverei agli anni 30-40 con un valore di 500 euro.
La seconda è un vaso (32cm) della Fenice di Albisola fondata dal ceramologo, anch’egli di spessore, Manlio Trucco nel 1922; l’opera, firmata “valerisce” – Luigi Valerisce (1921-1922) scultore, pittore insegnante di educazione artistica a Cuneo – fu prodotta negli anni 60 e prima del 1969, anno in cui l’artista lasciò la manifattura Fenice per la Pastorino Ceramiche sempre nella città ligure. Valore 300 euro.
Signor P.T., il suo centrotavola trilobato della Ginori (difficile parlare di periodi con una ditta che ha prodotto gli stessi modelli anche dopo un secolo, e “trafficando” per meglio vendere anche con i marchi) ad occhio e sigla, e comunque ipotizzando gli anni 40-60 – dalle sole immagini non posso specificare – se intonso vale intorno ai 150/250 euro.
Signora Vania Pizzicotti, la sua credenzina da farmacia piemontese-lombarda (cm 230x150x45) è un bel mobile ottocentesco che 15-20 anni fa avrebbe spuntato sui 5.000 euro, oggi 600/900. Purtroppo l’antiquariato ha subito un crollo culturale non più recuperabile e specialmente nella mobilia.
Per il ritratto del prelato suo presunto avo, mi invii altre migliori foto.
E “riecco” quadri, quadretti e quadroni
Faccio una piccola premessa: ai nostri giorni e con l’avvento della tecnologia e del progresso virtuale o meno, sono venuti a mancare insieme agli obsoleti valori di cose come “Patria, Dio, famiglia, amicizia”, anche l’amore per l’arte, l’antiquariato, l’archeologia, la letteratura e la musica classica in parte e quant’altro si addiceva e addice ai vecchi retrogradi e classisti (in cui mi arruolo seduta stante) che adesso vedono solo un’interessata e curiosa conoscenza transeunte e desunta da internet, un vuoto culturale spaventoso e a seguire il disinteresse per mobili e arredi di complemento: quadri, sculture e opere di artigiani e artisti di pregio e valore indiscusso.
La faccio breve e mi si intenda: la pittura dell’Ottocento italiano di maestri minori ma validissimi e a volte superiori ai conclamati ha subito quotazioni al ribasso del 50-70%; la pittura del 900 e dalla sua metà in avanti pagata intorno agli uno, due milioni a suo tempo è scesa ai 100/200 euro di oggi (il costo delle sole cornici!), quando poi si ha la ventura e fortuna di poterla vendere!
Quindi, mi spiace veramente dover comunicare ai lettori richiedenti che le opere nelle loro case, acquistate dai loro genitori o da loro stessi decine di anni fa a migliaia e migliaia di vecchie lire, non valgono più un fico secco. Ma non sono mie le stime, sono di un mercato oramai voltato ad altro: alle scritte ed insegne pubblicitarie, ai barattoli d’olio meccanico vuoti, ai pupazzetti, ai gadget ecc. … un collezionismo povero o di complemento arredativo che non implica conoscenze e cultura ma solo ricerche, e neanche complicate, sul web.
E appunto ecco il signor Daniele che mi chiede lumi su una serie di dipinti (tutti rigorosamente senza misure, tanto non servono! grr!) di cui quattro a firma Lorenzo Palazzi (1921-1990) e altri due di illustri sconosciuti di nessun valore iconografico e/o artistico. I quattro quadri dell’artista livornese in auge furono pagati nel 1976 500 mila lire l’uno, oggi purtroppo girano nel mercato tra gli 80 e i 200 euro al massimo.
Il signor Luigi Flisi mi presenta un’opera (“cinghiali”, 1963 cm 60×70) dell’omaggiato autore calabrese, eclettico, poliedrico e una volta “internazionale” Nick Spatari (1929-2020). Ebbene, purtroppo signor Luigi per quadri di dimensioni come il suo le aste odierne relegano l’artista a valutazioni intorno ai 100/150 euro.
Signor Carlo Croc con due quadri (cm 27×33): scena pastorale a firma O. Sornaga, autore a me sconosciuto, valore sui 200 euro; scorcio di paese sardo a firma Giuseppe Scano (1862-1942), importante artista insulare purtroppo anch’egli in calo quotazioni, sui 500 euro in Sardegna, 300 nel “continente”.
Da Torpignattara (Roma), la signorina Ines Perini con una serie di “cose”… quadri, quadri che a suo dire sono in casa, essendo lei giovanissima presumo, eredità della sua “bisnonna” (che viveva in uno dei quartieri più chic di Roma, i Parioli) ed essendo tali senza tema di smentita degli anni 50-60-70, i calcoli sono belli che fatti! Comunque la signorina Ines aggiunge come postilla non affatto necessaria che tali “opere” custodite gelosamente (e ci mancherebbe) hanno avuto negli anni variegate proposte di acquisto addirittura dal cugino della mamma (che svolge la mansione di portalettere) per conto di un importantissimo museo (non lo cita) americano! Ora signorina, lo confesso: quando mi è arrivata la sua mail ho pensato ad uno scherzo (ne fanno… ne fanno) di qualche buontempone che mi sa (o così presume) sempre pronto alla pugna e/o all’occorrenza allo sberleffo dei quanti si affacciano alla mia rubrica più che con gli oggetti, con le dichiarazioni e propalazioni più fantastiche. Questa volta voglio invece pensare ad una persona – lei – così lontana dal mondo dell’arte, ma così lontana da rasentare l’incredibile. Non mi farò fuorviare né dal suo zio di secondo grado postino, né dai suoi rapporti con il famoso museo americano che immagino pagherebbe in migliaia di sonanti dollari le vostre opere avite. E le rispondo pacatamente: sono “cose” fatte a suo tempo – ripeto – da più o meno abili decoratori sconosciuti, per i commercianti di mobili e per ambienti relegati – con tutto rispetto – nelle più remote periferie italiche; di nessunissimo valore, andrebbero smaltiti nell’indifferenziata quanto prima.
Al signor Carlo Crociatelli, fedele lettore e collezionista di garbo ed occhio, devo fare uno dei soliti discorsi non da amante e ammalato d’arte come lui, ma da bieco speculatore della stessa professando la figura dell’esperto che è equiparata e/o equivalente, nelle grevi valutazioni, al mero commerciante. Dunque signor Carlo, Domenico Balbi è stato un valente pittore e incisore italiano (1927-2005) che ha avuto un gran bel mercato con vendite ad alte quotazioni e costanti. Ricordo che negli anni 70 si vendevano bene persino le stampe! Lei ha acquistato, e direttamente dal Balbi, quattro grandi e medi oli e delle incisioni che non sto neanche ad elencare e sottolineare dacché l’artista ha esaurito ai nostri giorni lo slancio vitale ed economico di un tempo. Le sue quotazioni non sono univoche: scendono a 100/200 euro le opere di 20×30 cm e a 300/500 euro le opere da 80-100 cm ma con tanti e tanti “invenduti”, e ciò nelle aste. Nel mercato dei negozi e in rete vi sono viceversa quotazioni di migliaia di euro e di centinaia. Cosa dirle!
Signor L.C., ringraziandola per le gentili parole che ella dedica alle mie “stroncature” di cui paventa con divertimento di poter essere vittima, vengo al suo quesito riguardante un’opera del pittore Hussein Madì (1938-2024) che lei – dopo diverse intelligenti ricerche – ipotizza possa ascriversi ad un periodo primario dell’artista libanese. Il problema però signor lettore è che nell’arte moderna soprattutto, non avendo documentazioni, fatture, certificazioni, bisogna trovare chi sia in grado di poter autentificare l’opera. E gli unici a poterlo fare sono le fondazioni, i parenti o gli studiosi da loro autorizzati. Ma nel suo caso, e attenendomi alle quotazioni base dell’artista (cm 35×40 – 600 euro, cm 50×60 – 1.000 euro, ecc.) nel mercato e nelle aste – a parte le solite sproloquianti valutazioni della rete, dei privati o dei “negozietti” – non le trovo di rilevanza tale da affrontare complicate istanze e richieste agli aventi diritto, tutte rigorosamente a non minimi costi al di là della positività o meno dei responsi, e in finis, per un artista di non primaria importanza né visibilità commerciale.
Signor Rocco, mi spiace informarla che le stampe raffiguranti qualsiasi dipinto come il suo (cm 35×50) con paesaggio non valgono nulla. E anche la riproduzione di un quadro di J. Clouet (1480 1541) eseguito da un copiatore d’arte professionale, tale Max Kolbe, non credo possa valere alcunché in un’epoca crescente di digitalizzazione eseguita con stampanti 3D che riproducono persino i rilievi del colore e della tela.
E come sempre, un saluto a tutti e un abbraccio ai pochi!
Aprile 2024
Signora Ludovica P. da Perugia, per mia somma e imperitura grazia non conosco affatto l’individuo Tommaso Montanaro che mi dice essere storico dell’arte in quel di Siena. Lei me ne parla con dovizia e se mi occupassi di faziosi sedicenti e propalanti stupidità magari potrei spencolarmi vieppiù, ma non è appunto né la mia attitudine né la mia professione. Sono stato vaccinato da antico tempo con lunghi studi al discernimento tra “uomini, mezzi uomini e quaquaraquà” citati dal maestro Sciascia, e così mi mantengo. Punto.
Signora Serenella Cappelli, il suo vaso (cm 23×23) prodotto dalla Rosenthal nel 1974 e ornato dal maestro eclettico artista Bjorn Winblad (1918-2006) vale intorno ai 300 euro.
Signora Sara Tizzoni dalla bella, gaudente, verdeggiante, antica, amiatina a me vicina Castel del Piano (Gr), veniamo ai quesiti dei due quadri che manda in visone: l’acquarello su carta firmato Maria Bandiera 1888 (cm 41×57) ed anche l’altro, non valgono che qualche trentina di euro cadauno per sommario arredamento. Idem il calamaio in onice colorato.
Il ritratto (cm 79×112) dipinto di sua nonna è certamente mano di Giovanni Nicolini (1872-1956), uno scultore che però non disdegnava anche la pittura, specialmente nei ritratti; purtroppo il mercato lo relega a basse quotazioni come oramai tutta l’arte ottocentesca e il valore è quindi sui 400/500 euro.
La signora Riba Odilia invia foto di un vaso (h 32) prodotto dalla ditta Gualdo – Deruta fondata nel 1953 dal grande ceramista Professor Alfredo Santarelli e chiusa nel 1955. Il valore – anche per la forma stereotipata e usuale agli anni detti – non è di grande rilevanza: sugli 80/100 euro.
Signor Franco Bertolini, il suo leone di San Marco intagliato in legno (cm 35×40) e usato come fermaporta in un salone di Palazzo Giovanelli a Venezia, è un classico esempio di artigianato ottocentesco neo-rinascimentale. Non ha purtroppo canoni artistici tali da ascriverlo a nomi o botteghe di rinomanza. Il valore non è rilevante: sui 250 euro o 350/400 se in legno di noce, oggetto per i pochi che ancora ne coltivino l’importanza.
La signora Silvia Spignoli dalla mitica Faenza presenta alla mia attenzione un grazioso contenitore per spezie (cm 9x7x4) prodotto dalla MZ cecoslovacca. E dato che sono un fanatico del mio sapere sulla coroplastica le racconterò la sua storia: nel 1909 la banca di Praga Moritz Zdekauer acquista all’asta una fabbrica di ceramiche in difficoltà economiche e crea la “MZ con l’aquila” che diventa un prestigioso marchio di porcellana finissima esportata in tutto il mondo; ciò sino al 1948 circa quando viene nazionalizzata. Nel 1992 la fabbrica torna privata e operativa con il marchio “Starorolsky Porcelan Moritz Zdekauer”.
La signora Silvia si chiede come mai la scritta impressa “Spezie” sia in italiano: ebbene, ciò è usuale. I venditori grossisti, quali essi siano e di che nazione, che ordinano alle ditte estere rilevanti quantitativi di prodotti per la mensa e i casalinghi, fanno apporre sugli oggetti nomi ed indicazioni specificatamente nella lingua del proprio Paese. Pensi se il prodotto fosse arrivato in Italia con la scritta Korenì (spezie in lingua ceca). Il suo manufatto, che lei aveva giustamente rilevato come di estetica déco, è infatti secondo il marchio degli anni 40 . Il valore è purtroppo modesto, sulle poche decine di euro, ma è un bell’oggettino.
Signora Emilia Durante: Chiurazzi è il nome di una famosissima fonderia di Napoli chiusa negli anni 80 del Novecento, ma che ancora astuti faccendieri partenopei tengono aperta “ motu proprio” per vendere a destra e a manca classici modelli in bronzo della tradizione dei Gemito, De Martino, Parente ecc., e a questi fa capo il suo bronzetto patinato (h 38 cm) (fotografato a pezzi… mah!) e firmato lei dice, ma io non lo vedo: De Martino (suppostamente Giovanni 1870-1935), che indico a prezzo da mercato e arredativo sui 400/500 euro. L’altro pezzo della pseudo fonderia detta (16 cm), sui 150/200 euro.
Infine, i due quadri seriali Esposito (cm 43×33) e De Simone (cm 55×70), autori confusi e di nessuna ribalta né visiva né artistica, li valuto 50/70 euro cadauno cornice compresa.
Nadi Salli manda foto di un quadro (cm 100×80) del 1890 firmato “d’apres Maniquet” (dopo-sulla maniera, di uno dei vari pittori di nome Maniquet dell’epoca ottocentesca). Pezzo di valore arredativo più che artistico, compresa la cornice vale sui 400/600 euro.
Quanto al comò otto-novecentesco in ciliegio e altri legni, con la crisi odierna del mobile antico siamo sui 300/400 euro: soldi che non ci si comprerebbe neanche il legno per costruirlo!
Il fedele lettore Renato Di Properzio presenta alla mia attenzione un quadro (cm 34×44) siglato in monogramma AP. L’unico riferimento che ho è la sessione d’asta 11-7-23 Finarte – Scuola romana XX secolo – inizio a cui la sua opera per alcuni elementi può essere accostata. Valore tra i 400 e i 500 euro.
La signora Carla Zanoli mi sottopone due opere: la prima, olandese (cm 30,5×21) a dicitura apocrifa “Van Der Meulen”, di scarna esecuzione e dal valore arredativo sui 600 euro; la seconda, un San Cristoforo in rame (cm 6×8), di mano mestierantica e dal valore di 150/200 euro.
Signor Andrea, il suo vaso, pur marcato 800, ha subito un elettro cromatura che è inusuale, ed anche le lettere vicino ai marchi: la grande M con all’interno le lettere C ed A (lei legge P), andrebbero a significare la sigla del Metal Closure Alluminium, cioè una placcatura e neanche in argento. Pertanto, deve necessariamente fare una prova con l’acido per testare il materiale o farla fare da qualcuno che lo abbia. Comunque, fosse argento, varrebbe il peso del metallo più un 20%.
Signor A. Torino da Bracciano (RM), lei paradossalmente prima mi invia un quadro per sentirsi dire che è un autentico Odilon Redon (come possa fare io a certificarglielo per posta non si sa) e poi, quando io le rispondo che tale non è, mi scrive: “come lei con sicurezza può dirmi… avendo visto solo delle foto?”. Ebbene, ripeto a lei e ai lettori tutti che piuttosto che appurare le cose vere io appuro da remoto le cose senz’altro false. Riguardo al suo “Cristo dormiente” le invio copia: olio cm 38×30 “Les yeux clos”, peccato che si trovi a Parigi e precisamente al Louvre e non a casa sua. Oh! …non mi dica lo ha asportato dal museo e ancora non se ne sono accorti…
Signora Penelope Sarti, le mando per conoscenza le firme nel tempo del pittore Anton Sminck Pitloo (Arnhem, Olanda 1790 – Napoli, Italia 1837), ma non quelle da “vecchio”, come dettole “dall’antiquario” da mercatino romano, giacché l’artista è deceduto a soli 47 anni!
Il signor Marco Biava manda in visione un quadro (cm 138×78) da mestierante degli anni 50-60 del Novecento: non vale nulla, ma fa parte di quella serie che pubblico per renderne edotti i lettori.
Chiudiamo con il signor Diego Pisa che crede ancora nei Capodimonte, marchio usato in tutto il mondo e privo di significato come potrà leggere nelle rubriche passate. La sua statuina probabilmente è stata prodotta nel vicentino (h 28 cm) e vale al massimo 60 euro se intonsa.
E due candelabri dorati, stampati in ottone-bronzo, anni 60-80 del Novecento (ma anche fossero più vecchi non cambierebbe) varranno 80/100 euro.
Sì! La Gazzetta dell’Antiquariato è ora solo online e fa capo all’associazione UMAIF (Unione Mercanti d’Arte in Fiera) Ente Organizzativo Regione Lazio a cui lei può scrivere (umaif@live.it) per prendere contatti e chiedere di iscriversi; non si paga nessuna quota, bisogna solo convincere l’associazione che si ha passione per l’arte, per l’antico e che si sia buoni.
E come sempre, un saluto a tutti e un abbraccio ai pochi!
Marzo 2024
Ed ecco dei miei diletti lettori: Rosaria e Salvatore Capuano che, collezionisti, sono tra i pochi giramondo rimasti sempre alla ricerca del bello. Ad Innsbruck, in un mercatino, hanno trovato un bel vaso (h 42 cm) sui tipi di Sevres, il cui marchio, apocrifo, presenta le 2 C di Carlo X dei primi decenni dell’Ottocento e la lettera D o A della metà del Settecento; in più non è coadiuvato nell’ordine delle dette lettere. Il suo valore è sui 400 euro.
Inoltre hanno acquistato una fanciulla in bisquit (h 36 cm) della quale non mi appaiono chiare le scritte impresse. Ad occhio, potrebbe trattarsi di quelle produzioni tedesche della Baviera o della Turingia, ma… ma! Valore sui 350 euro. Un abbraccio.
La signora Anna Ostuni presenta alla mia attenzione un mobile scrittoio in radica di noce a ribalta che, canonizzando il mobile veneto-veronese del ‘700 negli stilemi, si può classificare a cavallo tra ‘800 e ‘900 per piallacci, serrature e cassetti. Purtroppo, da tali mobili che venti anni fa valevano intorno agli 8 milioni di vecchie lire, oggigiorno possiamo ricavare tra i 1.000 e i 2.000 euro, secondo l’acquirente.
Signora Enza, mi scuserà per il ritardo nel rispondere al suo quesito ma le innumerevoli richieste mi lasciano un po’ indaffarato, alcune di esse sono bisognose di ricerche che, pur appassionandomi, mi limitano il tempo da dedicare ad altre. La sua tela (cm 80×104) di scuola fiorentina o dell’Italia centrale, pur non essendo di somma mano ha un bel taglio e composizione non scevra da un colorismo soave. La datazione, non possibile di fronte ad una rifoderatura e laccatura postuma nonché da sole foto, potrebbe anche risalire a ridosso dei secoli XVI-XVII. Il valore a mio avviso potrebbe andare dai 5.000 euro in su, anche per le dimensioni arredative non ultime.
Signor Luca Maglio, la sua icona bulgara aperta a trittico (cm 29,5×37,5) non può essere determinata nella sua vetustà da sole foto. Comunque, non appare di grande mano e soprattutto sembrerebbe posteriore agli anni 50 del ‘900. Valore: tra i 250 ed i 450 euro.
Signor Franco Papi a me – e ai galleristi che ho consultato – non risultano riproduzioni di Guttuso su maioliche (cm 80×100) né tali da lui autorizzate. Quindi, non so che dirle.
Riguardo il San Giovanni (cm 55×78) suppostamente del ‘700, lei invia un’unica foto frontale: che cosa posso valutare? Il quadro è inoltre in non ottime condizioni. Valore: tra i 600 e gli 800 euro, a occhio.
Signora Patrizia Capolongo, il suo quadretto (cm 23×18) a firma Rosai (Ottone Rosai, 1895 – 1957), a mio avviso e buona conoscenza dell’opera del Maestro, è un falso, e nonostante i timbri – sconosciuti e apocrifi – impressi nel retro. Tenderei così a non farle sprecare denaro indicandole specialisti (tutti a pagamento).
Anche il signor Marco Palladinelli manda foto di due opere del pittore Ottone Rosai comprate da un antiquario anni fa dal proprio genitore. Non invia misure, ma dato che le reputo ambedue delle copie, non sono necessarie. E ripeto che il mio giudizio si avvale della buona conoscenza sia dell’opera pittorica del Maestro del ‘900 sia delle tele usate sia di altri particolari come la scrittura e la firma.
Signora Rosa Mannara, il suo quadretto (cm 30×24,5) firmato Zundel vìola, non se n’abbia a male, l’ars visiva nella sua precipuità. Spero lo distrugga immanentemente.
Signor Aldo Ricci, anche per lei, non se ne abbia assolutamente a dolere, vale la “stessissima” risposta data alla lettrice signora Rosa.
La signora Marilyn Garcia manda in visione un quadro (cm 39×30) del 1983 a firma sconosciuta Zanacchi. Una natura morta con l’arte espressa anch’essa deceduta. Mi spiace: nessun valore.
La signora Federica Mariani chiede il mio parere circa alcuni oggetti frutto di uno “sgombero” ereditario. Iniziamo: le macchine da scrivere Remington anni ’60 con custodia, come quella presentatami, le offrono sul web a 200 euro e oltre, nei mercatini a 60/80 al massimo; i telefoni anni 70-90 sempre nei mercatini e nei negozi dell’usato, stanno sui 20 euro cadauno; le interessanti bottiglie di Barolo-Borgogno del 1947 invece, pur avendo le etichette non proprio intonse, penso possano spuntare sui 250 euro cadauna.
La signora Sandra Cossu manda in visione una tela (cm 37×48 circa) in cattive condizioni raffigurante Santa Lucia vergine (283-304) martirizzata dalle leggi romane e uccisa pugnalata alla gola (jugulatio). Solo dopo il XV secolo – non avvallata né da fonti relate né da documentazioni – iniziò la narrazione che le avessero strappato gli occhi o che se li fosse lei stessa estratti per non vedere le oscenità presentatele nel martirio. Da qui l’attributo dei bulbi oculari sul piatto aggiunto dall’iconografia popolare e l’indicazione di Santa protettrice della vista, ma molto semplicemente ciò fu dovuto all’etimologia latina del suo nome Lux (luce). Per tornare al quadro di mano popolare e probabilmente prodotto tra ‘800 e ‘900, penso gli si possa accordare una valutazione, nello stato attuale, di 250/300 euro.
Il signor Molin Pradel, che ringrazio per le belle parole rivoltemi, mi sottopone un quadro (cm 36×48) di genere popolare e di scuola fiamminga del XVIII secolo. Purtroppo il suo valore, non essendo l’opera di vasto respiro artistico, non può andare oltre i 600/800 euro. Ideale da proporre ad un dentista.
Signora Giovanna, innanzitutto la ringrazio per la definizione di “mitico” (eh… l’età è l’età!), e poi le rispondo in merito alle affezionate tazzine della Wedgwood di metà Ottocento. Penso che l’appassionato antiquario e collezionista cui si è rivolta abbia ragione: troppe le incongruenze sui marchi e, come lui dice, inammissibili per la famosa capostipite manifattura inglese di terraglie (tra l’altro ad imitazione di quelle orientali e Compagnia delle Indie associate) che ci teneva ad esporre e senza tema di inganno il proprio marchio. Come “imitatrici” del marchio mi viene in mente la manifattura italiana Pera, ma anche le prestigiose Sevres e Meissen hanno addirittura spacciato le proprie produzioni, alcune stampando lo stemma a leone ed unicorno per farle credere inglesi e anche copiando le decalcomanie proprie della Wedgwood, alcune adottandone pure il nome come potrebbe essere nel caso delle sue tazzine.
Signor Augusto Vagelli, la sua aquila (cm 37×40) reperita al mercato di Arezzo è scolpita in legno e dorata con stilemi medioevali, ma io credo sia del ‘700. Nella simbologia religiosa della Chiesa cattolica l’aquila indica il trionfo del bene sul male, la giovinezza eterna in Dio, ed inoltre è simbolo precipuo di San Giovanni evangelista. Il valore dell’oggetto potrebbe aggirarsi sui 600 euro, sia pur avulso da appartenenze, informazioni specifiche e fuori dal suo contesto originale.
In merito al suo secondo quesito che riguarda una “croce pisana” scolpita in pietra che più che “serena”, come lei scrive, mi sembra “arenaria”, devo dirle che senza patine e narrazione del modo in cui le è giunta, non mi entusiasma punto. Naturalmente il mio è giudizio da scarna foto e sommario, e non mi consente peraltro di poterla valutare.
Signor Stefano Fanesi, le comunico – e da oltre trent’anni lo ripeto – che la dizione ed i marchi “capodimonte” sono da due secoli un’invenzione commerciale. Oramai sia il nome sia il marchio sono usati persino in Cina. La sua statuina firmata Caggiari è, ad esempio, di fabbrica vicentina, e naturalmente nulla ha a che fare con la Real Fabbrica Ferdinandea napoletana di Capodimonte e suoi posteriori contesti. Può valere al massimo 70 euro e a tanto in rete le offrono, a parte certi profani ottenebrati che invece non hanno riserbo e illusoriamente chiedono cifre di centinaia di euro. L’oggetto donatole come regalo di nozze sicuramente fu pagato allora fior di quattrini, ma purtroppo fallacemente.
L’altro suo quesito riguarda un’opera di Alessandra Casaccia (senza misure: ma si può?). Non sapendo chi fosse, mi ha costretto a sommaria ricerca dalla quale ho appurato che fu una cantante perita in disgrazia aerea, e già! …Ma l’opera regalatale dalla stessa è una litografia con tiratura, poi, alta (90/200)! La tenga pure come ricordo, quello purtroppo vale.
Il signor Silvano Gori invia foto di un’opera (cm 40×50) che pensa essere attribuibile ad Amerigo Bartoli Natinguerra (1890-1971), valente pittore umbro, ma io ne sono un po’ meno convinto, e per lo svolto del vaso e per la firma. Comunque anche fosse, non è tra i soggetti prediletti dai collezionisti e non presenta quel pathos proprio dell’artista in questione. A mio avviso quindi, 250 euro per una mera “attribuzione”.
Signor C.P., la sua alzata in porcellana (senza misure!) è stata prodotta dalla Hutschenreuther di Arzberg – azienda fondata nel 1814 nella Baviera tedesca e con innumerevoli cambi e modificazioni, acquisizioni – negli anni 50-60 del ‘900. A mio avviso il suo valore è di 80/120 euro, anche in considerazione del fatto che collezionisticamente il marchio impresso è di difficile reperimento.
Signor Nicola Laterza, le rispondo in questa rubrica per “educare”, se vogliamo, i lettori in merito agli acquisti di opere e riproduzioni d’arte prodotte su lastre o pellicole d’argento e vendute con enfasi come oggetti di valore. In realtà esse non valgono nulla, assolutamente.
La signora Sonia da Udine mi chiede di valutare un bassorilievo in marmo venato di Carrara (cm 35×46 spessore 2 cm). Signora, il fregio non ha patine di vetustà, e il basso spessore lo esclude da un lavoro artigianale a “mazzetta e scalpello”. Si tratta di un prodotto pantografato da macchina e ha un valore tra gli 80 ed i 120 euro.
Ultima curiosità
La signora Serena pensa che io possa sapere tutto. E fortunatamente per lei e per la sua curiosità so un po’ di tutto. E soprattutto posso risponderle che la sua “piastra” metallica ritrovata in spiaggia era abbinata ad un manufatto in cemento armato (probabilmente un palo per l’elettricità) e che è infatti della CAET (Cementi Armati in Elementi Tubolari) di Santa Teresa Riva (Me), azienda fallita il 12-2-2020.
E come sempre, un saluto a tutti un abbraccio ai pochi!
Febbraio 2024
Signora Cristina, il suo vasetto non mi parrebbe liberty né tanto meno di Albisola. Lo ascriverei ad un decoratore che dagli anni 30 del ‘900 firmava i suoi pezzi TM, ovvero Moreno Toscani di Montopoli (PI). Ma questa è una mia supposizione poiché non ho altre notizie (freccia aggiunta compresa). Metterò nel mio archivio il dilemma.
Il signor Francesco Nocera manda in visione una zuppiera tedesca del 1942 (altezza 18 cm, diametro 23 cm).
Propedeuticamente, un po’ di storia del marchio. La Porzellanmanufaktur Mehlhorn, azienda fondata nel 1869 a Eisenberg nella Turingia tedesca con trenta dipendenti, si specializzò nei servizi da caffè e tè e successivamente nella ristorazione. La manifattura copiava il famoso motivo di Meissen “Zwiebelmuster” (cipolla blu) molto di moda in quel periodo e ciò grazie alla direzione del socio occulto Jager, che però per divergenze abbandonò l’azienda nel 1881. Rimasto solo il Melhorn vendette a certo Muhlenfeld che si riunì con Wilhelm Jager nel 1911. Dopo pochi anni Jager portò la fabbrica a circa cento operai con enorme successo.
Negli anni 30 divennero proprietari Oscar Singer e Max Schiller che mantennero nel marchio il nome Jager, sinonimo di ottimi prodotti. Nel 1956 la ditta si trasformò e nel 1960 si unì con la Porzellanfabrik Reinecke che continuò a produrre sino alla chiusura nel 1979.
E veniamo alla sua zuppiera, signor Francesco, che porta inserito nel marchio il nome della città, dell’ideatore della fabbrica, dell’anno, e insieme il simbolo della svastica dello stato nazista imperante e la M che sta a significare che fu fabbricata per la Marina tedesca da guerra. Ma dopo aver sviscerato i miei saperi sulla coroplastica tedesca le debbo purtroppo comunicare che la sua zuppiera “rincollata” e mancante di coperchio non può valere che poche decine di euro e non so a chi possa interessare. Fosse nella sua interezza, potrebbe valere, per collezionismo, sui 400/500 euro.
Il signor Sebastiano Berardinelli presenta alla mia attenzione un busto di fanciulla in bronzo (H 30 cm, peso 5,35 Kg), marcato dalle prestigiose officine Collas. Achille Collas (1795-1859) fu il poliedrico ingegnere e incisore francese che inventò un pantografo speciale capace di riprodurre sculture in qualsiasi materiale (una specie di stampante 3D attuale). Si può ben dire che egli abbia trasformato specialmente l’industria del bronzo e che del suo sistema usufruirono migliaia di artisti. La sua azienda con oltre 600 operai chiuse nel 1954. Il bronzo del lettore, stando alle brutte foto inviate, è uno stereotipo senza patina e senza leggiadria. Il suo unico valore sta appunto nell’essere una copia della prestigiosa ditta: 500 euro.
La signora Claudia Chiozzotto è in possesso un meraviglioso servizio della Reinhold Schlegelmilch (RS) fondata nel 1892 a Tillowuitz (Slesia Prussia ora Polonia). Composto da 132 pezzi di una finezza e bellezza unica (ne conosco bene per aver avuto alcuni pezzi e proprio della medesima tipologia di quelli della lettrice), l’insieme apparteneva ai suoi genitori che lo avevano avuto in dono in occasione del loro matrimonio nel 1930 (ed infatti il marchio impresso è quello adoperato dalla ditta dal 1916 al 1945). Devo dirle, signora Claudia, e a malincuore, che oramai tali servizi non sono più richiesti da alcuno se non a prezzi che ci comprerebbe quelli cinesi di un certo garbo. Ma io, nonostante ciò, non posso che valutare il suo splendore a non meno di 5000 euro, poi faccia lei.
E sempre dalla meravigliosa Quartu Sant’Elena tra mari e monti (ne esorto la visita a chi si rechi in Sardegna), il collezionista Roberto Desogus manda in visione le sue scoperte coroplastiche.
Prima di rispondergli però, desuetamente, voglio rivolgermi a sua moglie che non conosco ma che so paziente e diligente (d’altronde con gli ammalati d’arte e del bello lo si è per forza). Signora, mi permetta di dirle che questo mondo ha ragione d’esistere in mezzo a guerre, egoismi, ipocrisie e quant’altro viviamo solo perché esistono uomini come suo marito che danno vita ed esistenza al passato e lo coltivano nella sua trascorsa bellezza non cessando mai di farlo, oltre poi onorandomi della loro conoscenza e del loro plauso.
E detto ciò, Roberto: quel piatto derutese moderno e falso marcato Ginori (che non ha mai prodotto simili cose) può mai essere accostato a Gio Ponti? …Da regalare alla parrocchia.
E parliamo di cose serie e cioè dei vasi delle Mazzotti. Una breve storia della vita artigianale, artistica e familiare: Vittoria Mazzotti (Albisola 1907-1985), figlia del grande ceramista Giuseppe che l’avvia insieme ai fratelli Tullio e Torido all’arte ceramica, lavora insieme a loro nei locali di via Matteotti sede della M.G.A – Fabbrica di ceramiche d’arte tradizionali e moderne Mazzotti Giuseppe Albisola – sino al 1959 (per inciso sottolineo che il capostipite, creatore di ceramiche meravigliose – a trovarle! – lavorò attivamente con i Futuristi e certamente fu sempre artista di livello molto superiore ai pur bravi figli).
Il primo gennaio del 1960, a causa di continue liti, Vittoria si stacca dal padre rigoroso e fumantino detto Bausin (che abbaia), si trasferisce con il fratello nei locali di Via Aurelia sempre in Albisola e insieme al marito fornaciaro e lustratore Mariano Baldantonio, alla madre Celestina e alla figlia Esa fonda la “VMA” (Vittoria Mazzotti Albisola), marchio che con la variante “VM Albisola” rimane invariato sino al 1984. Nel 1985 la ragione sociale passa alla figlia Esa e al marito pittore Rinaldo Rossello che cambia marchio in “Ceramiche Mazzotti Esa” a cui in seguito si unirà il figlio Giovanni Rossello. Nella manifattura lavoreranno fissi anche i ceramisti Giacomo Raimondi, Pina Olivero e la decoratrice Rita Saglietto (poi riconosciuta pittrice) che, frequentando Parigi e i grandi artisti, fa da trait-d’union tra l’ambiente artistico d’Oltralpe e le Mazzotti.
I vasi recuperati dal solerte Roberto, dai 23 ai 27 cm di altezza e variamente marcati, a mio avviso possono valere: sui 500 euro la coppia eguale e 150/200 euro cadauno gli altri, anche come da quotazioni di case d’asta.
A nuove cose.
L’ottimo scrittore e genealogista Alberto Lubelli Prasca, che conosco di fama per aver scritto dei libri specialistici sul patriziato cuneense (vengo da una linea secondaria dei Ferrero d’Ormea), invia in visione una bella tela ottocentesca (cm 50×75, cm 66×92 con cornice) che potrebbe provenire, mi scrive, dalla bisnonna svizzera Leumann. In effetti, e per i toni, e per la delicatezza ordinata di acque, alberi e figure, l’opera mi indica proprio una mano svizzera. Non essendo firmata e di composizione decorativa, essa non può avere una valutazione che superi i 1.000 euro. Professor Alberto, a ben nuovamente leggerla.
Quadri e pseudo quadri
Si è sparsa la voce che io sia un grande conoscitore di quadri di arte antica e posteriore al secolo XVIII. Naturalmente, non è vero. Certamente avendo magari molto studiato, molto visto, e avendo conosciuto i più grandi critici d’arte del mondo, da Briganti a Marini, da Caradente a Zeri con il quale fui in frequente contatto, non amico (che suo unico amico vero fu il dott. Salvatore Vicario di Fonte Nuova, tra l’altro suo medico – mi diceva – inascoltato). La mia competenza sta magari nel saper dire “cosa non è” piuttosto che certificare un’opera su cui hanno scritto, discusso e discettato molto meglio di me eminenti critici e storici. E ciò, per introdurre un bel quadro del signor Antonio Corrao il quale, senza preamboli, scrive di averlo avuto in dono e afferma che il dipinto è stato attribuito a Luca Ferrari di Reggio Emilia (1605-1654). Ma attribuito da chi, signor Antonio?… Perché la sua raffigurata “Giuditta con la testa di Oloferne” (cm 123×100), di già prodotta dal Maestro e attualmente presente nel Museo Civico di Modena, non ha nulla a che fare col suo quadro, e per dirgliela tutta, non ha nulla a che fare con l’opera intera del pittore emiliano intessuta di un dinamismo soave che certo manca alla sua scollacciata e statica dama. In più, dalle modeste e scarne foto, mi pare che il retro della tela sia un prodotto otto-novecentesco. Che altro dirle se non che i quadri – repetita juvant – non sono patate e che avrebbero bisogno (come i mobili e gli altri oggetti complessi) del supporto di molte e variegate foto per essere valutati, soprattutto se da uno che se ne sta bello seduto, o in piedi che sia, a leggere e guardare i vostri quesiti da sola immagine?
Il fedele lettore Marco Maggioni ha finalmente svolto l’arcano circa l’appartenenza o meno al Carlo Dolci di una sua “ Vergine annunciata” che ha impegnato me pure in variegate e inconcludenti ricerche. Togliendo il rintelo, infatti, è apparsa la firma del vero autore: Michele Cortazzi (1800-1865), ottimo copista di metà Ottocento. Il lettore, in merito ad una commissionata scientifica perizia che lasciava spazio ad una copia autografa del Dolci, riflette: ma non è che non hanno voluto vedere il nome del copista così da farmi digerire meglio la costosa expertise fatta? …E certo! signor Marco, poiché se il team incaricato fosse stato composto da una scarsa compagine allora ci poteva star tutto, ma per mia conoscenza e di altri, quelli a cui lei si è rivolto sono considerati primari professionisti, ed anche il lavoro svolto lo dimostra. Quindi, che non abbiano sottoposto il quadro a radiografie che potevano e facilmente “leggere” l’autore sulla prima tela, beh! …mi pare proprio difficile.
Signor Luigi Flisi, purtroppo i sui quadri (cm 50×70) sono stati eseguiti negli anni 70-90 del ‘900 da “mestieranti da piazza” di tal genere pittorico. Non hanno alcun pregio se non come pezzi decorativi dal modesto valore di 50/100 euro cadauno e sono di difficile vendita.
Il signor Daniele Postiglione, fedele alla rubrica e al bello, presenta alla mia attenzione un quadro (cm 50×60) in tela di canapa, opera che pur di non eccelsa fattura, come lui stesso dichiara, pensa possa avere un qualche valore significativo in ragione della sua vetustà. In effetti, posta in cornice adatta e restaurata, si potrebbe pensare a quelle cose ornamentali e arredative adatte, che so, per ambienti non principali come stanzette, bagni o corridoi, ma poi, però, il suo valore sarebbe comunque di un paio di centinaia di euro. Signor Daniele, le conviene rimetterla in sesto?
Il signor Elio Barbati, altro affezionato lettore, invia immagini di due bei quadri dei quali, però, non produce foto sufficienti a potermi esprimere circa la vetustà. Pertanto, attesa l’assenza, collocherei le opere in ambito ottocentesco: la prima (cm 76×96,5) molto bella e con un verismo di pregio, raffigurando purtroppo un canonico che mostra un santo eremita non è che possa avere molta collocazione sul mercato. Comunque a mio avviso ne determinerei il valore intorno ai 1.500 euro per l’eccellente mano. La dama (cm 58×72), più sommessa e nei toni e nell’esecuzione, è comunque passabile “per antenata propria” come si conviene a chi acquista queste opere, e può spuntare sui 1.200 euro.
Signora Elena Cargnello: cavalli cinesi e incisione sono cose di nessun valore; della dama con cavalieri su lastra di metallo va cercato l’autore per bastonarlo di santa ragione. Ma… ma il quadro firmato M. Kastner 1873, pittore di cui ho solo notizia di un’altra opera rinvenuta a Roma ove egli operò per alcuni anni, è una bellissima natura morta che per la grandezza (cm 106×84) non può che valere, e nello stato, tra i 1.200 ed i 1.600 euro.
Signor Francesco Scarpa il suo quadro raffigurante la “Sacra famiglia” (cm 13×21, 25×33 con cornice) presenta una mano popolare e di scarno livello artistico, ma nonostante ciò ha un interessante svolto pittorico di rappresentazione; bello l’abbinamento con la cornice in pastiglia a due ordini, novecentesca anch’essa. Purtroppo, e cornice, e condizioni del dipinto (dalle scarne foto inviate non si evince nemmeno se pittura su carta o tela) non sono ottimali e così com’è penso valga sui 250 euro in virtù, come detto, dell’abbinamento con la cornice e di quel tocco scenografico inusuale.
Il signor Federico Mat manda foto di una serigrafia “Mickey Mouse” di Andy Warhol, edita dal CMOA (Carnegie Museum of Art) in Pennsylvania (USA). Non indica le misure, e vabbè, e mi chiede solo se sia autentica. Ebbene, sul retro l’opera è siglata e timbrata con la garanzia della Gilibert di Torino, Galleria libraria e d’arte tra le più conosciute e serie d’Italia. Quindi, rispondo: certamente sì. La tiratura è alta 367-2004, e ne sono state fatte molteplici riproduzioni (come per tutte le opere di Warhol che quindi sconsiglio vivamente di acquistare) dalla Fondazione e da altri istituti che ne avevano e ne hanno diritti. Il valore dell’opera è infatti sui 100 euro, come il lettore potrà determinare anche sbirciando in rete e districandosi tra altre simili riproduzioni ma con altre edizioni e/o tirature che sono e solo un grande mondiale bluff.
Riappare “capodimonte”
Con lei, signor Ferruccio Martinelli, ritorno a parlarne, ed anche a lei ripeto che la denominazione “capodimonte” non vale nulla e viene usata da migliaia di fabbriche in tutto il mondo. Se vuole ragguagli vada a spulciare nella rubrica “L’Esperto” dei precedenti mesi ed anni quanto già pubblicato in merito. E veniamo al suo gruppo (cm 25x15x10) degli anni 70-80 del ‘900, tenuto in considerazione dai suoi genitori. Il pezzo è probabilmente di fabbriche vicentine e non può superare la valutazione di 120/150 euro per mero arredamento.
E come sempre, un saluto a tutti un abbraccio ai pochi!
Gennaio 2024
Buon nuovo anno a tutti i miei lettori, a quelli che oramai mi seguono da trent’anni (sino al 2017 in forma stampata) sopportando e supportando le mie velleità linguistiche, arteantiquariali e soprattutto i miei strali e le mie escandescenze – sia pur attenuate – emprate da una scrittura e da un lessico variegato che mi permette ancora un buon seguito tra voi.
E nuovamente e come sempre, finisco la rubrica mensile: saluti a tutti e l’abbraccio a quei pochi che sanno e che mi onorano della loro benevolenza e del loro gradito giudizio.
Signor Silvano Glori, Giovanni Battista Trevisan (1735-1803) detto Giovanni Volpato (dal cognome della nonna) è stato un eclettico personaggio ed artista di genio e maestria. Ceramista e incisore, fu anche imprenditore, ebbe in appalto papale, tra l’altro, le cave di argilla bianca (ball-clay) di Civita Castellana da cui estrasse il materiale per sue fabbriche di ceramica in loco e a Roma. Oltre a riprodurre manufatti in bisquit di porcellane antiche, fu uno dei primi antiquari italiani di livello; mecenate e investitore, finanziò gli scavi di Caracalla, delle Terme di Tito, di Piazza Venezia ed altri luoghi in Roma. Lei manda una sua incisione su disegno tratto da Giovanni Maggiotto (cm 37×28) e da una serie sui mestieri eseguita dal Volpato che è probabilmente (per le incisioni ci vuole visione diretta per appurare il tipo di tecnica, tiratura, e per distinguerle anche da vecchie stampe prodotte con macchine ottocentesche a torchio) autentica. Ci sono poche cose sul mercato inerenti l’artista, da alcune vendite d’asta ho trovato similari incisioni quotate tra i 150 e i 250 euro ma invendute, e credo che il valore di 200 euro sia il prezzo giusto.
Il secondo quesito postomi riguarda un centro tavola in argento (gr. 422) della Cesa 1882, ditta fondata ad Alessandria appunto in quell’anno e ancora attiva. Manifattura di prestigio fornitrice di posateria da tavola della Real Casa Sabauda dal 1920, continuò negli anni 50 per il Quirinale e nel contempo per una serie di alberghi prestigiosi in tutta Europa. Dal 1994 la Cesa è stata inglobata nel gruppo argentiere Greggio. Il suo “ananas” si può quotare intorno ai 500-600 euro.
Riguardo infine alla porcellana di Sevres di cui non manda misure – come peraltro per il centrotavola – posso azzardare, e con il vistoso calo collezionistico dei nostri tempi, una quotazione, se intonsa, di 250-300 euro.
Il signor Luigi Bellanova chiede valutazione di una papera da tavola firmata Egidio Broggi, membro di una dinastia di milanesi che opera dal Novecento nell’argenteria e nella posateria. Uno dei rami di Egidio (1949) si è specializzato anche nella ceramica e porcellana. La papera porta bon-bon alta 17 cm, credo degli anni 70, vale tra i 120 ed i 160 euro se perfetta.
In una fredda mattina invernale, la signora Francesca ha veduta presso un mercatino una bimbetta sperduta con un’oca e non ha saputo resistere: l’ha comprata. Il bronzo (h 31cm) che con base in marmo nero del Belgio raggiunge i 38 cm, è firmata De Martino.
Ebbene, Giovanni de Martino (Napoli 1870-1935) fu scultore che operò per metà della sua vita a Parigi ove conobbe fama e riconoscimenti prestigiosi. Tornò poi a Napoli ove era stato allievo all’Accademia del Toma, del Lista e soprattutto dell’Orsi che lo spinse alla ricerca veristica, e che nei soggetti di bambini e fanciulli determinò la sua maggior gloria. Il De Martino è, naturalmente, figura tra i bronzisti più copiati e riprodotti: i suoi scugnizzi pescatori e venditori sono delle icone della napoletanità insieme ai personaggi da presepe e ai santi in campana. Tutte le fonderie passate e le attuali del capoluogo campano hanno i suoi modelli, così come quelli di Gemito, e ancora li producono.
La sua peraltro bella fanciullina, signora Francesca, è un modello non comune ma la patina ne tradisce la non eccelsa vetustà. Tra l’altro i primi modelli erano firmati dal maestro “G. De Martino”, ma v’è da dire che non esistette né esiste privativa per detti, e non è che siano siglati con numeri determinati e certificati. Pertanto si comprano i soggetti che, per il fatto di avere una bella patina antica, si presume siano quelli messi in commercio e vendita dal maestro o comunque che siano della sua epoca, ma…. ma, ho conosciuto dei veri maestri delle patine antiche su oggetti nuovi – come i fratelli Bovi operanti prima a Torre Maura nel castelletto ove ora davanti sorge il Policlinico Casilino (ex clinica Trombetta negli anni 40-70) sulla via Casilina e poi nella borgata Giardinetti sempre a Roma – ed altri esperti che mi dicono quanto sia impervia la perizia su bronzi prodotti tra ‘800 e ‘900. E comunque la patina, vera o falsa che sia, ancora paga, ma la sua oca ne ha purtroppo una seriale e con l’ossido di rame verde ancora imperante (la faccio breve e non le elenco le mutazioni chimiche, passa negli anni al colore del “cuoio liscio invecchiato”), quindi che dirle… sui 300 euro.
Signora Cosetta Garilli da Torino, la coppia di vasi cinesi (h 19×15) che manda in visione sono del periodo repubblicano (avvento di Mao). Essendo di ottima fattura, penso possano valere sui 500 euro se intonsi ed in perfette condizioni.
Quadri, quadroni, quadrucoli
E un signore anonimo inizia bene l’anno: manda in visione le opere “di un famoso pittore africano degli anni 70” (sic), talmente noto che è d’uopo non farne il nome, e che io, nella mia ignoranza purtroppo – cercando di invano di decifrare la firma – non ho mai conosciuto. Il lettore possessore di tale famoso artista, non invia neanche le misure delle tele e così siamo proprio a posto! Buon anno anche a lei, sconosciuto lettore. Pubblico le immagini per far sì che qualche diligente e specifico collezionista sappia più di me mi comunichi il nome.
Signora Giulia Pane, mi spiace che negli anni lei abbia avuto da me solo risposte a cui, lei dice, si univano valutazioni negative e sarcasmo. Ma signora, mi perdoni, io tendo purtroppo ad essere uomo di conseguenza, e quando una lettrice, tipo lei, si professa intenditrice e “dall’occhio lungo” (sic) e poi mi presenta opere che definire brutte mi parrebbe un vero eufemismo, ecco che io mi spencolo nel linguaggio e uso la penna “a fioretto”.
Signor Walter Trumpy da Genova, le rispondo non in privato ma su questa rubrica nonostante i suoi quesiti, per raggiungere anche i signori Lorenzin e Draghetti, che mi hanno spedito cose analoghe e cioè quadri con riproduzioni oleografiche, ovvero opere che non sono altro che stampe su tela o cartone. Realizzate con processo cromolitografico in tricromia o quadricromia, esse imitano l’impronta di un quadro originale in olio o tempera o acrilico o altra qualsiasi tecnica. A volte, oltre ai rilievi del colore, riproducono anche le trame della tela. Va da se quindi che, ripeto, trattasi di stampe; che poi nel suo caso vi siano sigle, anni di esecuzione o nomi di autori ecc. non è che questo cambi la sostanza. Mi spiace, ma tali tipologie rimangono semplici stampe di nessunissimo valore anche fossero tratte da eminenti autori e non, come nel suo caso, mi perdoni, da sconosciuti G.B. o tale Lepoldina Zanetti Borzino.
Il maestro Alberto Mauro Serpilli, restauratore in Ferrara, mi manda un un soave dipinto su rame (cm 32×38) che ascriverebbe a Meindert Hobbema (Amsterdam 1638 – 1709 ). Ebbene, pur ripetendo di non essere un grande e precipuo conoscitore dell’arte antica anteriore al XIX secolo, debbo però necessariamente dire di aver studiato non poco i maestri olandesi di tali periodi per aver in anni e anni avuto un’assidua frequentazione con Federico Zeri. Spirito irrequieto e burlone egli mi interrogava sempre specialmente sull’arte pittorica dei Paesi Bassi di cui era era, più che uno specifico conoscitore, un attento indagatore ed io un profano. Naturalmente, ho avuto modo anche di andare in Olanda a “spulciare” nei musei, oltre ad essere attento lettore delle recensioni degli studi di Berenson, Longhi, Venturi, Morelli, De Vecchi, per dirne alcuni. Pertanto, conosco bene l’Hobbema, considerato uno dei più grandi paesaggisti olandesi benché la sua carriera pittorica fosse durata poco più di dodici anni. Si sposò infatti trentenne, e malauguratamente preferì alla pittura un impiego governativo sicuro ai Dazi d’importazione dei vini della sua città. Smise praticamente di praticare ciò che lo avrebbe reso immenso giacché dotato di una maestria unica nei semitoni che gli permettevano di dettare nell’ombre – che altri abilmente sfumavano – figure di una nitidezza fresca che lasciavano e lasciano senza parole, ammirati: creava l’ambiente ombra non attenuando il colore ma dandone altro corpo e al di là della luce solare. L’artista perse in seguito sia “il posto fisso” sia la moglie per cui aveva rinunciato alla grande arte sua; morì povero e solo, naturalmente, rare le sue opere nel mercato.
E tornado al bel dipinto inviatomi signor Alberto, a mio avviso e conoscenza esso non presenta affatto i canoni pittorici dell’Hobbema: velato e soave nei toni, smorzato dalla luce solare che richiama un dolce meriggio, a me ricorda più i fratelli Van Hannen e la loro cerchia. Che altro dire… lei non mi parla di documentazioni inerenti, passaggi di proprietà, ecc.. Dovrei darle solo una valutazione come bel quadro, e senza averlo visto, toccato, annusato. Le suggerisco di portarlo in visione a qualche casa d’aste per vedere cosa le possono dire dal vivo, poi, quando crede, mi potrà resocontare.
E infine…
Ringrazio la signora Antonella Fontana alla quale ho risposto ad un quesito il mese scorso e che mi invita a Cagliari dove la encomiabile lettrice ha costituito un Museo del Giocattolo. Signora Antonella, sicuramente venendo nella sua bella città non mancherò di farle visita e invito i lettori della Gazzetta presenti nel capoluogo, ma anche lontani, a farlo.
E come sempre, un saluto a tutti un abbraccio ai pochi!